Il merito di una Riflessione

Un mio caro amico, autentico maestro nella scienza economica, amava spiegare, nei suoi affascinanti workshop, taluni arcani, ma essenziali, meccanismi del “mercato” attraverso una specie di parabola laica. Prendiamo le risorse che un sistema è in grado di creare, insomma la ricchezza di cui un Paese può disporre – diceva – e immaginiamola come se fosse una torta, da dividere in un certo numero fette. Qui ci si presenta subito un problema da risolvere: come devono essere queste porzioni? Dobbiamo dividere la torta in parti uguali, per tutti? Oppure dobbiamo distribuire tranci di diversa entità? A questo punto la riflessione, ammantandosi di un certo grado di “magia”, rivelava tutto il suo valore di allegoria raffinata. Se adottiamo un parametro derivante da certi supposti principi “morali” – diceva il vecchio professore – arriviamo facilmente alla conclusione che la torta deve essere divisa in parti uguali. Purtroppo, la scienza economica, ampiamente corroborata di dati derivanti dall’esperienza storica, dimostra che, adottando il “nobile” criterio della ripartizione simmetrica, si genera uno di quei fenomeni che nel linguaggio della sociologia di Merton, si chiamano “conseguenze inattese”, “esiti imprevisti”, o meglio ancora “effetti perversi”, per dirla con Boudon. Insomma, la torta, misteriosamente, diviene più piccola, sempre più piccola. Di conseguenza, le fettine (uguali) disponibili per i consumatori diverranno sempre più minuscole. Con il risultato che, ad un certo punto, la fetta che spetta a chiunque (nel contesto della divisione egualitaria) sarà addirittura molto più piccola di quella che spettava al più penalizzato, nello scenario della distribuzione non egualitaria. Di contro, se la torta viene divisa in parti differenti (entro un certo range, ovvio) si determina la magia inversa: la torta cresce, lievita, generando una dotazione maggiore della dolce risorsa, di cui si può disporre ai fini della ripartizione. Ma che cos’è che da vita a questa magia, per la quale la torta cresce, oppure si rimpicciolisce, in virtù del suo criterio di suddivisione? È il momento di travalicare i confini dell’allegoria, e chiamare questo lievito immaginario con il suo vero nome, fuor di metafora: Questo prodigio è tutto nella magia degli “incentivi”, il meccanismo alla base dei sistemi di mercato e delle società più sviluppate, (nei casi migliori e prevalenti anche più libere e più democratiche). Il meccanismo degli incentivi è il dispositivo essenziale nel funzionamento di quella che Von Hayek chiamava la “macchina sociale”. Uno scenario nel quale chi si impegna, chi produce, chi lavora meglio e di più, chi riesce a creare cose, oggetti, idee, tecnologie, innovazioni, che trovano il consenso di un bacino di utenza, il gradimento dei consumatori, insomma che impattano positivamente un target, riceve una “ricompensa” maggiore, che si traduce in diversa disponibilità di risorse economiche, maggiore benessere, più ampie potenzialità culturali, migliore qualità della vita ecc… Naturalmente, questo crea un certo grado di diseguaglianza nell’ambito del sistema sociale, e può generare persino sacche di autentica marginalità ed esclusione. In questo senso una visione autenticamente liberale deve mettere in campo degli adeguati correttivi, finalizzati a fornire aiuto ai più sfortunati, o comunque a coloro che, per varie ragioni, siano rimasti troppo indietro. Insomma, un sistema sociale moderno deve certamente fornire una protezione ai deboli, un paracadute, in altre parole deve tutelare i “bisogni”, come si diceva giustamente un tempo, ma questo senza trascurare in alcun modo l’esigenza di “valorizzare il merito”. Poiché una società che abdica a questo compito si autocondanna alla stagnazione, al declino, al sottosviluppo, alla decadenza. La storia ci ha mostrato con evidenza estrema il fallimento di quei sistemi sociali che hanno annichilito l’individuo, sull’altare di una supposta collettività, la quale poi altro non era che il predominio assoluto di una élite di burocrati, “borghesi” senza alcun merito: la “nuova classe”, come la chiamò Milovan Gilas. Se per l’operaio sovietico era ovvio disporre di una ricchezza molto inferiore a quella dell’imprenditore occidentale, la dissonanza cognitiva, imprevista e insopportabile, lo assalì quando ebbe scoperto che l’operaio come lui, nel sistema liberale, viveva infinitamente meglio di quanto non vivesse egli stesso nella società comunista. Forse è stato questo il più grande fallimento dell’ideale collettivista. Quando cadde il muro di Berlino alcuni scienziati sociali cominciarono a studiare il funzionamento di quegli assetti, cercando degli indicatori, riguardo al carattere di quei sistemi sociali. Fra le altre cose si scoprì che nelle realtà sovietiche vi era una carenza cronica di brevetti, qualsiasi dispositivo decidessero di produrre, dovevano usare progetti occidentali. Questo mentre i nostri uffici brevetti, o la nostra SIAE, per fare un esempio, crollano sotto il peso di fascicoli (oggi per fortuna alleggeriti dall’informatica) di potenziali invenzioni, scoperte, tecnologie, in ogni campo, per non parlare di opere letterarie, produzioni artistiche ecc. Perché migliaia di onesti impiegati, operai, insegnanti, medici, ingegneri, architetti, passano la loro notte insonne nel tentativo di inventare una macchina, scoprire un farmaco, proporre un nuovo gioco? Si tratta ancora una volta degli “incentivi”. Quel dottore, se la sua molecola che ha scoperto contro una grave malattia, funziona veramente, diverrà ricco e famoso (beato lui), il suo impegno, il suo merito verrà, giustamente, ricompensato, ma sarà l’intera società a trarne vantaggio. Elimina gli incentivi e l’intera società cadrà in un sonno soporifero. Fino al suo crollo. Metti, invece, centinaia, migliaia, milioni di individui talentuosi, a industriarsi, in concorrenza fra loro, certo, per dare vita a qualcosa che migliori il proprio status, ed avrai creato un laboratorio permanente dello sviluppo sociale, un’officina a ciclo continuo del progresso sociale. E c’è da aggiungere, last but not least, una considerazione niente affatto marginale: una società che premia il valore, il talento, l’impegno, il merito, è anche una società che offre ai ceti svantaggiati una chance per emanciparsi. Attraverso lo studio, il sacrificio personale, il lavoro, anche i soggetti provenienti da territori sociali più disagiati, hanno la possibilità, se gli è offerta l’opportunità di far valere i propri meriti, di migliorare la propria condizione. Per questo contrastare la logica delle caste inamovibili, aggredire le consorterie clientelari autoreferenziali, spingere la mobilità sociale, incalzando il meccanismo di premialità del valore, di ricompensa della qualità, di valorizzazione del merito, sono gli assi strategici fondamentali, per fare una società più avanzata, più giusta, più prospera, più libera.

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Luigi Caramiello

Luigi Caramiello, nato a Napoli nel 1957, è un rinomato sociologo, professore universitario e giornalista professionista. Specializzato in sociologia dei processi culturali e comunicativi, ha insegnato in diverse università italiane e internazionali. È autore di ventidue libri e numerosi saggi scientifici, e ha diretto vari progetti di ricerca. È membro di diverse istituzioni scientifiche e ha ricevuto numerosi premi e riconoscimenti per i suoi contributi nel campo artistico e scientifico. Attualmente, ricopre incarichi di rilievo in diverse associazioni e comitati scientifici.

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