I media tradizionali e il mondo dell’informazione continuano ad interrogarsi su come contrastare le fake news. A far discutere è anche il tema delle post verità che vengono definite dall’Oxford Dictionary come circostanze nelle quali i fatti obiettivi sono meno influenti nell’ orientare la pubblica opinione rispetto agli appelli all’ emotività e alle convinzioni personali.
Le nostre convinzioni e le nostre idee non cambiano nemmeno se vengono smentite da prove certe e a confermarlo sono diverse ricerche. Il motore della post verità sono le fake news (notizie false). Le fake news danno vita a due diversi fenomeni, come segnalato su First Draft News, disinformazione ovvero la creazione e condivisione consapevole di informazioni che si sa essere false e la misinformazione ossia la condivisione involontaria di informazioni false.
I social network sono un mondo perfetto, in cui emerge la tendenza ad acquisire informazioni che aderiscono più al nostro sistema di convinzioni che alla verità sostanziale dei fatti. Grazie alle dinamiche della rete gli utenti si incontrano in luoghi definiti echo chamber; ambienti che, come scrive nel suo libro Walter Quattrociocchi, “diventano una specie di camera di risonanza per le proprie ansie, dove non c’ è confronto con chi la pensa diversamente, ma dove, anzi, si rinforzano vicendevolmente le proprie posizioni, possibilmente radicalizzandole”. Si attua così un processo psicologico noto da anni che è quello del pregiudizio di conferma, che definisce la tendenza a esporsi in modo selettivo a contenuti in linea col proprio sistema di credenze e stereotipi, cercando così la conferma dei nostri pregiudizi. Questi processi, purtroppo, si traducono in effetti reali e pericolosi sul mondo dell’ informazione.
Le mie ricerche confermano la gravità del pregiudizio di conferma e chi lavora nella comunicazione deve fare i conti con questo fenomeno.
Nelle ultime ore sono stati diffusi i risultati di un’analisi del comportamento di alcuni volontari sul motore di ricerca di Google durante due campagne americane. La ricerca è stata pubblicata sulla rivista Nature ed è stata condotta da Ronald Robertson.
Tomasso Caselli, dell’Università di Groningen, ha sottolineato come: “lo studio conferma quel che emerge già da alcuni anni, ossia mette in dubbio l’impatto degli algoritmi nella produzione delle cosiddette echo chamber e nel produrre polarizzazione”. Caselli ha spiegato che “il potere di questi algoritmi sembra in realtà meno forte di quel che si riteneva qualche anno fa”.
I ricercatori hanno monitorato il comportamento online di un gruppo di volontari, principalmente nelle ricerche fatte con Google durante le ultime due campagne elettorali.
Gli esiti hanno sottolineato come l’algoritmo sia rimasto neutrale e non ha mostrato contenuti a sostegno dei pregiudizi iniziali. A quanto pare sono stati gli utenti a cercare le informazioni necessarie per confermare i propri pregiudizi.
Il ricercatore italiano ha però sottolineato che non si può avere in risultato definitivo perché l’indagine “si riferisce alle ricerche con Google, mentre non conosciamo quasi nulla degli algoritmi usati nei social. La polarizzazione è un fenomeno molto più complesso di quel che a volte si dice”.
Le fake news diffuse in rete, con lo scopo di supportare il proprio pregiudizio di conferma, possono essere davvero pericolose. Oltretutto, sono uno strumento di comunicazione molto forte e riescono ad intaccare la reputazione di un’ azienda, di un’ istituzione, di un politico e di qualsiasi soggetto che opera all’ interno di uno scenario competitivo.
Ho elaborato, insieme al mio collega Andrea Altinier, l’Esagono delle fake news per rappresentare le peculiarità di questo fenomeno: appeal, viralità, velocità, crossmedialità, flusso e forza. Le fake news hanno una dimensione globale e riguardano diversi ambiti come la politica, la migrazione e la sanità. La guerra in Medio Oriente e il conflitto russo-ucraino ci stanno mostrando quanto la propaganda sia veicolata dalle fake news.
I social sono un terreno fertile per le fake news che, però, sono presenti sullo scenario mediatico da decenni. È evidente che la qualità delle notizie fa la differenza. I media devono saper offrire format e profondità di contenuti diversi. La differenza è la qualità. E la qualità è un valore. Ogni strumento ha regole e format propri che vanno rispettati.
L’ integrazione tra le diverse piattaforme rappresenta la strategia vincente. In questo modo i social network da minaccia diventano opportunità.
Insomma, per contrastare le fake news servono sicuramente competenze, skills variegate e molteplici e soprattutto abbiamo bisogno di un salto culturale da parte di tutti gli attori in campo.
Nella società del Terzo Millennio non possono esserci preconcetti e luoghi comuni. Va spesa ogni energia per educare le nuove generazioni al rispetto dell’altro. Tutti abbiamo il dovere di far vincere il buon senso, di aprire la mente e di recuperare il senso di responsabilità.