Trends reputazionali per il 2024

Qui Nuova York vi parla Davide Ippolito. Anche quest’anno torno con la newsletter che sta diventando il tradizionale messaggio di fine anno con i trends reputazionali del prossimo anno.

Stiamo vivendo un epoca in cui il ruolo delle aziende nel tessuto sociale è diventato argomento di dibattito.

Dal 2018, anno in cui la finanza ha espressamente dichiarato che le aziende dovessero guardare “oltre il profitto” abbiamo avuto un po’ di problemi a riguardo soprattutto nel provare a decriptare questa informazione.

Abbiamo assistito alla crescita del movimento “woke” e alla crescente pressione per un’azione sociale più incisiva.

Il termine “woke” merita una definizione più approfondita. “woke” è un’espressione gergale afroamericana che significa letteralmente “essere svegli”, e fa riferimento all’essere consapevoli delle ingiustizie sociali e razziali. Tuttavia, nel corso degli anni, il suo significato si è evoluto ed è stato adottato in senso più ampio per descrivere una consapevolezza su una varietà di questioni progressiste, soprattutto in relazione a diritti civili, giustizia sociale e politica di genere.

Così molte aziende si sono trovate al centro di una tempesta emotiva e ideologica.

Ad esempio la Disney, ABInBev (produttori di Bud Light) e Target hanno dovuto affrontare sfide significative. Queste sfide non sono state solo di natura etica o ideologica, ma hanno avuto un impatto concreto e misurabile sulle loro performance economiche e sulla percezione del pubblico.

Prendiamo Disney ad esempio: la compagnia ha perso circa 96miliardi di dollari in capitalizzazione di mercato dal marzo 2022, periodo in cui ha iniziato a confrontarsi con il governatore della Florida, Ron DeSantis, riguardo la legge “Don’t Say Gay” e altre questioni culturali, inclusi adattamenti di “Il signore degli anelli” e “La Sirenetta” con personaggi diversificati e la scelta di virare alcune storyline dal maschile al femminile, come per Star Wars, o il Marvel cinematic Universe.

Il risultato è stato un costante allontamento del pubblico e una forte perdita economica che ha costretto a richiamare l’ex CEO Bob Iger alla guida della compagnia.

Bud ha affrontato una situazione simile. Dopo aver lanciato una promozione online con un influencer transgender ad aprile, la compagnia ha subito una perdita di circa 24 miliardi di dollari in valore di mercato. Le vendite del suo prodotto di punta, Bud Light, sono diminuite in seguito alla promozione, con il prezzo delle sue azioni che è sceso di quasi il 5% in un solo giorno, perdendo di fatto la leadership come birra più venduta tra gli americani.

Target ha perso circa 10 miliardi di dollari in capitalizzazione di mercato da metà marzo, in seguito alla polemica sull’assortimento di abbigliamento transgender e prodotti per il Pride.

Nonostante una chiusura delle azioni a circa 134 dollari, in calo di più del 3%, la situazione ha evidenziato la delicatezza di gestire questioni culturali in un ambiente aziendale.

Al di là di ogni retorica, c’è un principio fondamentale che non va dimenticato: il compito principale di un’azienda è perseguire i propri interessi economici, non educare il pubblico.

Guardare oltre il profitto vuol dire di certo internamente approcciarsi a temi in ambito ESG o di inclusività ma non significa stravolgere quel che si è e trascurare il proprio pubblico.

Nel tentativo di adattarsi a un panorama sociale in evoluzione, molte aziende hanno adottato un approccio narrativo forzatamente inclusivo. Questa strategia può spesso sfociare in una semplificazione eccessiva di questioni assai complesse, appiattendo la ricchezza e la diversità delle storie che potrebbero essere raccontate. In questo processo, le aziende rischiano di alienare una parte del proprio target di riferimento, perdendo clienti e danneggiando la propria immagine.

Un’azione “woke” mal gestita o percepita come non autentica può portare a una perdita di fiducia da parte dei clienti e degli investitori, influenzando negativamente il valore di mercato dell’azienda.

Se dovessimo quindi entrare nel concreto dei trends reputazionali del 2024, mentre direi che è importante per le aziende rimanere sensibili ai cambiamenti sociali e alle richieste di un pubblico più consapevole, bisogna anche bilanciare questi sforzi con la necessità di mantenere la fiducia e la lealtà dei loro consumatori principali, del loro target.

La sfida è trovare un equilibrio tra la risposta a queste pressioni sociali e la missione principale dell’azienda di soddisfare i propri clienti e perseguire gli obiettivi economici.

L’obiettivo primario rimane la soddisfazione dei bisogni e dei desideri del proprio target. L’aspetto educativo, seppur importante, non rientra direttamente nella missione aziendale. Le imprese dovrebbero concentrarsi su come i loro prodotti o servizi possano migliorare la vita dei clienti, anziché cercare di imporre un certo punto di vista o una particolare ideologia.

Invece di adottare un approccio di marketing “woke” che rischia di essere percepito come superficiale o ingenuo, le aziende dovrebbero ascoltare, comprendere e rispondere alle esigenze del loro pubblico in maniera genuina e rispettosa. In questo modo, possono costruire una relazione solida e di lunga durata basata sulla fiducia reciproca e sul valore reale offerto.

Il Politically Correct sta influenzando l’istruzione e il mondo delle aziende, in particolare le Big Tech e tutte le multinazionali il cui marketing si rivolge ai giovani. Queste aziende sono state invase dalle nuove generazioni formate nei college politically correct appunto dove la storia che si insegna spesso viene censurata o travisata, dove si prova a costruire un mondo utopistico e questo è un grosso campanello d’allarme. Viviamo in un mondo dove, a prescindere dalle ideologie personali, appena tre anni fa, un’azienda privata ha censurato l’allora Presidente in carica degli Stati Uniti d’America in maniera unilaterale. Credo che anche chi odi Donal Trump capisca le reali implicazioni di questo problema.

Il nuovo anno per un’azienda e per un manager deve portare quindi tre strategie:

  1. Oggi più che mai avere una Gestione Attiva della Reputazione: Le aziende devono monitorare attentamente la loro reputazione online e offline, e devono essere pronte a rispondere in modo rapido e appropriato a qualsiasi potenziale crisi di reputazione. Un passo falso può costare tanto in termini economici e di sopravvivenza dell’azienda
  2. Fuggire dai social network: che non vuol dire non avere più pagine social, o non gestire attivamente i propri profili o non fare marketing li, vuol dire non dipendere dai social network, essere attenti che il proprio fatturato non dipenda dai social network o da altre aziende, di popolare sempre un proprio crm e gestire i propri clienti su canali proprietari, che non dipendono da nessuno
  3. Non comunicare tutto e sempre. Il cambiamento parte da dentro l’azienda non nella sua comunicazione. Inutile professare di diversity e inclusion mentre ancora si è indietro anni luce all’interno della propria stessa azienda, inutile parlare di lavoro agile se lo smart working è oramai un lontano ricordo. Questa voglia matta di comunicare sempre, qualsiasi cosa, in ogni momento, può essere solo un boomerang. Non c’è bisogno di correre dietro la frenesia di una comunicazione costante e giornaliera. Non ce n’è bisogno. Per citare il detto: meglio stare in silenzio e rischiare di sembrare stupidi piuttosto che parlare e darne la conferma

Buon anno nuovo. Ci vediamo per un 2024 ricco di sfide emozioni e risultati da raggiungere insieme.

Davide

Picture of Davide Ippolito

Davide Ippolito

Davide Ippolito, nato a Napoli, vive a New York. è un esperto di Reputazione, editore e autore per Amazon Prime Video. Fondatore de ilNewyorkese e Reputation Review e Direttore scientifico dell’Italian American Reputation Lab, offre consulenza per organizzazioni come NIAF , Confindustria e Federmanager. È opinionista per La7 sulle tematiche che gravitano attorno alla Reputazione e agli Stati Uniti. Nel 2023 è uscito il libro “Against Stereotypes. The real Reputation of Italian American” e ha pubblicato 4 libri sulla Reputazione e due saggi distribuiti da Mondadori. Ha svolto incarichi di docenza per l’Università di Roma La Sapienza, Emory University di Atlanta e società di formazione manageriale.

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