La cucina italiana è stata inserita nella Lista dei patrimoni culturali immateriali dell’umanità dell’Unesco. La decisione è arrivata durante la riunione del Comitato intergovernativo che si è tenuta a New Delhi, con un voto favorevole unanime. Il riconoscimento riguarda l’intero sistema di pratiche, abitudini e tecniche che caratterizzano il modo di cucinare e di mangiare in Italia, e non un singolo piatto o un ambito specifico, come invece avvenuto in passato per la pizza napoletana o per la dieta mediterranea. Per l’Unesco è un insieme di gesti, conoscenze e relazioni che contribuiscono alla vita sociale delle comunità e alla trasmissione di saperi familiari.
Il dossier di candidatura è stato preparato nelle ultime fasi dal giurista Pier Luigi Petrillo, che negli anni ha seguito varie proposte italiane inserite nella stessa lista. Il documento ricostruisce il ruolo svolto da organizzazioni come l’Accademia Italiana della Cucina, la Fondazione Casa Artusi e la rivista “La Cucina Italiana”, che dagli anni Sessanta hanno promosso la standardizzazione delle ricette regionali e la conservazione di tecniche considerate tradizionali. L’Unesco ha valutato questi elementi come prove dell’impegno delle comunità nel mantenere continuità tra generazioni, un criterio richiesto a tutti i Paesi che presentano una candidatura.
L’Italia aveva già 20 pratiche riconosciute come patrimonio culturale immateriale. Con questa iscrizione arriva a 21 e diventa il Paese con il maggior numero di elementi collegati all’agroalimentare: finora erano otto, tra cui la transumanza, i muretti a secco agricoli, la coltivazione ad alberello dello zibibbo di Pantelleria e la “cava e cerca” del tartufo, attività ancora molto diffuse in regioni come Piemonte, Marche e Toscana. In Europa, altri Stati avevano ottenuto riconoscimenti simili su settori specifici: la Francia con l’arte della baguette, la Germania con la panificazione artigianale, la Georgia con il metodo di vinificazione in anfore. Nessuno però riguardava l’intero sistema culinario nazionale.
Anche il governo italiano ha commentato la decisione. La presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha definito la cucina italiana “uno degli strumenti con cui il Paese si presenta all’estero”, un riferimento alle attività di promozione del Made in Italy sviluppate negli ultimi anni anche attraverso ambasciate e camere di commercio. Il ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida ha parlato di un risultato che coinvolge agricoltori, produttori e ristoratori, indicando il riconoscimento come occasione per rafforzare tutela e valorizzazione delle filiere, in un settore in cui l’export alimentare italiano ha superato i 60 miliardi di euro nel 2023 secondo i dati Istat.
La ministra del Turismo Daniela Santanchè ha sottolineato l’impatto del riconoscimento sul settore turistico, ricordando che la componente gastronomica è un elemento rilevante dell’offerta italiana, soprattutto nelle regioni con maggiore presenza di prodotti a indicazione geografica protetta. Secondo l’Enit, nel 2023 circa un turista straniero su quattro ha dichiarato di scegliere una destinazione italiana anche per motivi legati alla cucina. Il settore è inoltre coinvolto nelle campagne contro il cosiddetto “Italian sounding”, la pratica con cui prodotti non italiani vengono commercializzati all’estero con marchi che richiamano l’Italia, come il “parmesan” negli Stati Uniti o il “prosek” in alcuni paesi dell’UE.
Il riconoscimento dell’Unesco non comporta vincoli normativi, come spesso si crede, ma richiede ai Paesi di presentare periodicamente un aggiornamento sulle misure adottate per salvaguardare la pratica riconosciuta. Per l’Italia significa documentare come scuole di cucina, famiglie, associazioni e imprese agroalimentari contribuiscono a mantenere vive tecniche e conoscenze, e come si adattano al cambiamento, ad esempio rispetto alla crescente riduzione dei consumi domestici e alla diffusione dei pasti pronti. È un ambito su cui in passato l’Unesco ha valutato con attenzione anche gli aspetti sociali, come la partecipazione delle comunità locali e la presenza di percorsi formativi accessibili.
Nei prossimi mesi il Ministero della Cultura e quello dell’Agricoltura dovranno predisporre un piano di salvaguardia, come previsto per tutti i Paesi che ottengono una nuova iscrizione. Sarà definito insieme alle organizzazioni coinvolte nella candidatura e potrebbe includere iniziative per documentare ricette regionali poco diffuse, campagne educative nelle scuole e progetti di archiviazione digitale. L’inserimento nella lista potrebbe anche influenzare strategie di promozione turistica e commerciale, un aspetto già rilevante in altri Paesi che negli ultimi anni hanno ottenuto riconoscimenti simili.




