Cosa succede ora che la cucina italiana è patrimonio UNESCO

Gli effetti riguarderanno soprattutto la percezione valoriale all'estero ed il modo in cui la questione verrà integrata nella promozione turistica e culturale: tutti campi sui quali l'attuale governo italiano si è impegnato molto negli ultimi anni

L’inserimento, avvenuto mercoledì, della cucina italiana tra i patrimoni culturali immateriali dell’UNESCO ha introdotto una categoria piuttosto ampia in un elenco tradizionalmente dominato da pratiche specifiche. Il riconoscimento riguarda la cucina come momento sociale e come sistema di trasmissione informale di competenze, più che le sue ricette o i suoi prodotti. È una distinzione rilevante: l’UNESCO non tutela il pomodoro San Marzano o la pasta di Gragnano, ma il modo in cui la preparazione e il consumo del cibo strutturano la vita familiare e comunitaria in Italia.

La lista dei patrimoni immateriali, attiva dal 2007, è costruita per conservare tradizioni che gli stati ritengono vulnerabili alla standardizzazione culturale. Oggi include quasi 800 pratiche, come il “Diwali” indù, la costruzione del kobyz in Uzbekistan o danze tradizionali dell’area di Córdoba. All’Italia erano già stati riconosciuti venti patrimoni immateriali, tra cui la cavatura del tartufo e il canto lirico, oltre all’arte del pizzaiuolo napoletano, che aveva attirato molta attenzione internazionale nel 2017.

Per ottenere l’iscrizione, gli stati devono presentare un dossier che documenti la continuità storica della tradizione, il suo radicamento nella comunità e le misure previste per garantirne la trasmissione. La procedura può richiedere diversi anni. La candidatura italiana sulla cucina era stata avviata all’inizio del 2023 e rientra nella strategia con cui molti governi usano l’UNESCO per rafforzare la propria immagine culturale all’estero, accanto ai benefici più indiretti in termini di turismo e promozione economica.

Gli effetti di un riconoscimento immateriale sono però più difficili da misurare rispetto a quelli di un sito materiale. Studi recenti coordinati da Pier Luigi Petrillo all’università La Sapienza mostrano che alcune pratiche molto definite generano impatti quantificabili. L’iscrizione dell’arte dei pizzaiuoli, per esempio, ha coinciso con la crescita dei corsi professionali, passati da 64 nel 2017 a 246 tra Italia ed estero. È un caso in cui la tradizione si presta naturalmente alla commercializzazione, come succede anche per i percorsi turistici legati a prodotti specifici: il Prosecco di Conegliano-Valdobbiadene o la viticoltura ad alberello di Pantelleria, dove la promozione connessa al riconoscimento UNESCO ha portato a un incremento delle aziende coinvolte e a nuove iniziative istituzionali come il parco nazionale.

La cucina italiana nel suo complesso pone invece questioni diverse. Essendo un insieme eterogeneo di pratiche – dalla preparazione domestica all’uso di tecniche regionali molto distanti tra loro – non esiste un soggetto unico che possa “vendere” il patrimonio in modo standardizzato. I potenziali sviluppi riguardano più facilmente la valorizzazione dei contesti: la stagionalità dei prodotti, i modelli familiari legati ai pasti e l’educazione alimentare. È improbabile che il riconoscimento modifichi i consumi globali, dominati da marchi industriali come Barilla, Ferrero o De Cecco, ma potrà essere usato per rafforzare narrazioni istituzionali sulla qualità e sulla sostenibilità.

Il ruolo dell’UNESCO è principalmente politico e culturale. L’organizzazione tende a legittimare tradizioni che gli stati considerano identitarie, con l’obiettivo dichiarato di proteggerle dalla pressione omologante dei mercati globali. In questo senso la cucina italiana entra nella stessa categoria di pratiche considerate a rischio non per una imminente scomparsa, ma per la perdita di significato all’interno della società. Il riconoscimento funziona quindi come un invito alla documentazione, alla promozione e alla continuità generazionale.

Per l’Italia, già tra i paesi con il maggior numero di patrimoni riconosciuti, il risultato conferma una lunga tradizione di presenza attiva nei processi dell’UNESCO. Petrillo ha descritto questa posizione come «paragonabile a quella degli Stati Uniti nel Consiglio di Sicurezza dell’ONU», per indicare un peso politico superiore alla dimensione geografica o demografica del paese. La candidatura sulla cucina amplia un elenco che negli ultimi dieci anni ha incluso pratiche sia molto antiche sia molto legate alla contemporaneità.

Resta da capire come questo riconoscimento verrà concretamente impiegato. In altri settori, come quello vitivinicolo, il collegamento con il turismo enogastronomico è immediato e misurabile; nel caso della cucina nel suo insieme potrebbero emergere iniziative educative, progetti di ricerca o campagne istituzionali basate su temi come la convivialità, la dieta stagionale e la trasmissione familiare del sapere culinario. Saranno gli sviluppi di questi programmi nei prossimi anni a indicare se l’iscrizione avrà un impatto comparabile a quello dei patrimoni più circoscritti o se resterà soprattutto un riconoscimento simbolico.

Immagine di Francesco Caroli

Francesco Caroli

Francesco Caroli, nato a Taranto, ha iniziato a scrivere di musica e cultura per blog e testate online nel 2017. È autore per le riviste cartacee musicali L'Olifante e SMMAG! e caporedattore per IlNewyorkese. Nel 2023 ha pubblicato il saggio "Il mutamento delle subculture, dai teddy boy alla scena trap" per la casa editrice milanese Meltemi.

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