Cosa sappiamo dell’attacco USA contro l’Iran

L’operazione ha coinvolto più di 120 aerei, ma non è ancora chiaro quanto abbia danneggiato davvero il programma nucleare iraniano e quale sarà la risposta del regime degli Ayatollah

Nella notte tra sabato e domenica, gli Stati Uniti hanno colpito tre siti nucleari in Iran. L’operazione militare, denominata Martello di mezzanotte, è stata una delle più potenti di sempre, con sette B-2 Spirit e 125 velivoli coinvolti. Parliamo del più massiccio attacco con bombardieri B-2 nella storia degli Stati Uniti, secondo quanto riferito dal generale Dan Caine, capo di Stato maggiore interforze, in un briefing al Pentagono.

Gli obiettivi colpiti

I bombardamenti si sono scatenati sui siti di Natanz, Isfahan e Fordow, considerato l’obiettivo più rilevante e difficile da colpire.

La centrale nucleare di Fordow, costruita tra gli anni Novanta e i primi Duemila, è nota per la sua posizione sotterranea e fortificata, da anni al centro delle preoccupazioni dei governi, soprattutto israeliano e americano, e delle agenzie internazionali. La sua esistenza è stata ammessa pubblicamente dall’Iran solo nel 2009, in seguito alla pressione internazionale, anche se i sospetti della sua operatività erano diffusi già da tempo.

Ma perché Fordow è così difficile da attaccare? La centrale, scavata nella montagna iraniana, si trova tra gli 80 e i 90 metri sotto terra, protetta da strati di roccia e cemento. Per raggiungerla, gli Stati Uniti hanno impiegato le cosiddette bunker buster, bombe progettate appositamente per penetrare sottoterra.

Ogni ordigno di questo tipo pesa circa 14 tonnellate ed è in grado di bucare strati di cemento armato spessi fino a 18 metri. Solo pochi aerei, come i bombardieri B-2 Spirit, sono in grado di trasportarle, e infatti le bunker buster sono di esclusiva proprietà dell’esercito americano.

Vista satellitare del sito di Fordow prima dei bombardamenti americani

Operazione Martello di Mezzanotte

Mentre una prima flotta di aerei, visibile ai radar civili, si dirigeva verso il Pacifico, facendo pensare a un’azione futura con partenza dalla base britannica di Diego Garcia, una seconda formazione invisibile ha preso la rotta opposta, sorvolando l’Atlantico e il Mediterraneo per raggiungere il Medio Oriente. L’obiettivo era mantenere il massimo effetto sorpresa, limitando ogni possibilità di intercettazione.

Secondo le dichiarazioni del generale Dan Caine, capo di Stato maggiore delle forze armate statunitensi, l’attacco ha avuto luogo in piena notte e si è svolto in coordinamento con caccia di supporto e aerei cisterna per il rifornimento in volo. Complessivamente, più di 125 velivoli hanno preso parte all’operazione, durata per un totale di 37 ore consecutive di volo: una delle più complesse degli ultimi anni nella regione.

Nonostante la potenza impiegata, l’efficacia dell’attacco resta in parte incerta. Le immagini satellitari disponibili mostrano danni in superficie, soprattutto nei pressi delle prese d’aria e degli accessi alla struttura, ma è difficile valutare quanto le infrastrutture sotterranee siano state compromesse. Le parole del presidente statunitense Donald Trump – che ha parlato di un “annientamento totale” del programma nucleare iraniano – sono state successivamente ridimensionate da fonti militari più caute.

Il programma nucleare iraniano

L’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica ha dichiarato di non avere ancora dati sufficienti per stabilire l’entità del danno, e non sono stati rilevati aumenti nei livelli di radiazioni, il che farebbe pensare che le scorte di uranio non siano state compromesse. Intanto, l’Iran ha dichiarato di non aver subito danni al proprio programma nucleare, in quanto tutte le scorte erano state preventivamente spostate in altri siti nei giorni precedenti. È normale che l’Iran cerchi di ridimensionare la portata del danno subito, ma non si sa con certezza se il trasferimento delle scorte è realmente avvenuto e in che percentuale. Immagini satellitari dei giorni precedenti mostrano effettivamente diversi camion sul sito di Fordow.

Un altro elemento che complica la comprensione degli eventi è l’opacità del programma nucleare iraniano. L’Iran sostiene che i suoi impianti servano a scopi civili, ma le ispezioni passate hanno trovato uranio arricchito a livelli ben superiori a quelli necessari per usi pacifici. In un’occasione, l’AIEA ha rilevato materiale arricchito fino all’83,7 per cento, poco al di sotto della soglia necessaria del 90% per la fabbricazione di un’arma nucleare. Recentemente, stime più caute della stessa AIEA hanno indicato un arricchimento del 60%, comunque di molto al di sopra di quello necessario agli scopi civili (raramente si arriva a toccare il 19%).


La risposta dell’Iran

La rappresaglia iraniana dopo il bombardamento statunitense si è limitata a nuovi lanci di missili contro città israeliane, senza colpire direttamente obiettivi americani. La scelta potrebbe riflettere la difficoltà per Teheran di sostenere un confronto diretto con gli Stati Uniti, sia per motivi militari che economici. Le sanzioni internazionali, infatti, hanno profondamente indebolito l’economia iraniana, che si trova sull’orlo del collasso, e diversi suoi alleati regionali, come Hamas o Hezbollah, si trovano oggi in condizioni di grande difficoltà o completamente annientati dopo gli attacchi mirati israeliani.

Intanto, l’Iran ha minacciato la chiusura dello stretto di Hormuz, una delle principali vie di transito del petrolio mondiale. Anche se questa decisione non è stata ancora formalizzata, ha già avuto effetti sui mercati internazionali, con un aumento del prezzo del greggio. Una chiusura effettiva danneggerebbe anche lo stesso Iran, che dipende dalle esportazioni di idrocarburi.

Le tecnologie utilizzate nell’attacco Usa evidenziano anche un cambiamento nei metodi di guerra contemporanei, cosa già osservata nell’altra grande guerra in corso, quella tra Russia e Ucraina. La combinazione tra droni, aerei invisibili ai radar, e munizioni guidate con precisione millimetrica mostra quanto sia evoluto l’armamentario a disposizione di chi dispone di ingenti risorse militari. Questo squilibrio è evidente nel confronto con l’apparato difensivo iraniano, che non è riuscito a rilevare la presenza degli aerei durante l’operazione.

Il fatto che nessun sistema di difesa sia entrato in funzione durante il bombardamento suggerisce un’efficacia elevata delle misure di elusione adottate dagli Stati Uniti, ma solleva anche interrogativi sulle reali capacità iraniane di difendere i propri obiettivi strategici. Al tempo stesso, però, la mancanza di una risposta può anche essere letta come una scelta deliberata di non aggravare l’escalation in corso.

È probabile che, al di là delle dichiarazioni pubbliche, una parte significativa del futuro del programma nucleare iraniano si giochi in sede di negoziato. Al momento le trattative sono in stallo e la recente intensificazione del conflitto potrebbe averle rese ancora più difficili: gli Stati Uniti avevano provato ad avere un ultimo confronto con una delegazione iraniana prima del bombardamento, ma senza successo. La possibilità di una soluzione diplomatica appare oggi più lontana. Intanto, il presidente turco Erdogan si è proposto come mediatore per evitare un ulteriore inasprimento del conflitto.

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Francesco Caroli

Francesco Caroli, nato a Taranto, ha iniziato a scrivere di musica e cultura per blog e testate online nel 2017. È autore per le riviste cartacee musicali L'Olifante e SMMAG! e caporedattore per IlNewyorkese. Nel 2023 ha pubblicato il saggio "Il mutamento delle subculture, dai teddy boy alla scena trap" per la casa editrice milanese Meltemi.

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