L'escalation dell'escalation

L’escalation dell’escalation

C’è questa parola che viene usata ormai come fosse acqua minerale gasata che scorre nel palato velocemente quando si ha sete. Eppure, la semantica di questa parola in apparenza neutra è terribile. È quasi sinonimo di terza guerra mondiale, quella nucleare, quella definitiva, quella con un unico sconfitto: il genere umano. Viene usata così anche nei media italiani, è uno di quei termini che diventa codice internazionale. I media, anche quelli italiani, ne abusano con altrettanta leggerezza dell’acqua minerale suddetta, non pesando bene gli effetti che le parole, alcune parole, hanno sull’opinione pubblica e sulle singole persone.

Oltre al significato, le parole si portano dietro anche un senso, che tecnicamente è il rapporto della parte fisica del segno, il significante, con una serie di significati sottostanti a quello principale denotativo. Il senso di escalation non è solo evoluzione drammatica di una crisi militare e geopolitica regionale, ma vuol dire appunto guerra totale, morte, distruzione di ogni cosa, non ritorno. Dovremmo, noi comunicatori, usarla con giudizio, anche quello kantiano. Invece, ogni due per tre la troviamo nei titoli, nei testi, nelle discussioni televisive.

Ora in ballo c’è il Medioriente e specificamente la lotta Israele-Iran che passa per il Libano e il quasi annientamento di Hezbollah. A forza di azioni e reazioni, di attacchi e di vendette, non è che poi i grandi della Terra, trascinati per la giacchetta, entrano in gioco, per un gioco che abbiamo già definito senza controllo? È un pericolo che esiste, che esiste già nel conflitto in Ucraina, ma che deve essere contenuto. Difficilmente l’Iran vorrà scendere in campo oltre una certa misura per difendere Hezbollah. Ci si augura che anche Israele non vada troppo oltre l’idea di difendere se stesso.

Ci sono paesi musulmani importanti in quella regione calda del mondo, vedi Arabia Saudita, che stanno, per ora, alla finestra. E l’America non vuole più ingaggiarsi in conflitti lunghi, sanguinosi e diplomaticamente masochistici. Insomma, proviamo a informare la gente senza nascondere nulla, ma anche senza ingenerare tutti i giorni un‘ansia da infodemia tipica della nostra società della comunicazione globale.

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Claudio Brachino

Giornalista, saggista ed editorialista italiano. Laureato in Lettere, passione per il teatro, ha scritto con De Filippo e Michalkov. Poi 32 anni in Fininvest e Mediaset, dove è stato vicedirettore ed anchor di Studio aperto , 2 volte direttore di Videonews, la fabbrica dei format, direttore di Sport Mediaset e di Radio Montecarlo news. Inoltre, ha diretto per due anni il Settimanale, magazine cartaceo e web sulle Pmi, ha scritto per il Tempo e il Giornale, ora è editorialista del Multimediale di Italpress, opinionista tv per Rai e La7 e direttore editoriale di Good Morning Italy. Da poco ha firmato una collaborazione per lo sport del circuito Netweek.

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