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La sentenza storica contro il monopolio di Google

Lunedì, un giudice federale degli Stati Uniti ha stabilito che Google ha abusato della propria posizione dominante nel settore della ricerca online per violare la legge sulla concorrenza e impedire ad altre aziende di sviluppare la propria tecnologia.

Ci abbiamo provato tutti, almeno una volta. Che sia perché un programma ci ha impostato Bing come motore predefinito, costringendoci a smanettare per qualche minuto al fine di rimuoverlo, o che sia perché volevamo sentirci più green con Ecosia, che pianta alberi per ogni ricerca, abbiamo tutti provato a staccarci da Google, spesso senza riuscirci. Ma le cose potrebbero cambiare presto.

Lunedì, un giudice federale degli Stati Uniti ha stabilito che Google ha abusato della propria posizione dominante nel settore della ricerca online per violare la legge sulla concorrenza e impedire ad altre aziende di sviluppare la propria tecnologia. Il giudice, Amit P. Mehta, ha concluso che Google ha agito illegalmente per mantenere il suo monopolio.

La sentenza, contenuta in un documento di 277 pagine, è una svolta storica che potrebbe avere grosse ricadute su tutto il settore tecnologico. Google farà quasi certamente appello, e il caso potrebbe arrivare alla Corte Suprema. Se la sentenza, però, venisse confermata, l’azienda potrebbe essere costretta a cambiare di molto il funzionamento del suo motore di ricerca.

Il Dipartimento di Giustizia, che aveva preparato il caso per oltre tre anni, sosteneva che Google avesse abusato del proprio monopolio nella ricerca online per eliminare la concorrenza e impedire possibili innovazioni vantaggiose per i consumatori. Il processo contro Google, iniziato a settembre 2023, è stato il primo di questo tipo dal 1998, quando il governo degli Stati Uniti aveva portato in tribunale Microsoft.

Secondo le accuse, Google avrebbe consolidato il proprio dominio non solo offrendo un buon servizio, ma anche con metodi illegali. L’azienda avrebbe pagato miliardi di dollari a compagnie produttrici di telefoni per essere il motore di ricerca predefinito sui loro dispositivi, ostacolando così la concorrenza. Secondo Associated Press, il caso ha ritratto Google come un “bullo tecnologico” che ha sfruttato la propria posizione per mantenere un vantaggio ingiusto nel mercato delle ricerche online. Si calcola che quasi il 90% delle ricerche web sia fatto con Google.

Per il giudice, gli accordi con le aziende che producono smartphone è stato fondamentale nell’appropriarsi del settore senza lasciare spazio alla concorrenza per crescere e competere con il proprio motore di ricerca. La sentenza ha rilevato che l’azienda, grazie al suo monopolio, ha potuto far pagare agli inserzionisti prezzi molto più alti rispetto al mercato, garantendosi enormi guadagni senza dover necessariamente migliorare la qualità del proprio servizio. Solo l’anno scorso, Google ha ricavato circa 240 miliardi di dollari dalle inserzioni.

Per gli esperti, la decisione del giudice Mehta potrebbe avere ripercussioni significative anche su altri giganti della tecnologia, come Apple, Amazon e Meta, anch’essi sotto scrutinio per possibili violazioni antitrust.

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