«Che lavoro fai?» È una domanda che mi è stata rivolta innumerevoli volte (come a tutti), e ogni volta mi ha messo leggermente in difficoltà. Mia madre ha tentato più volte di decifrare il mio cammino professionale: scrittore, imprenditore, manager, regista, esperto digital, giornalista, innovatore; in ognuna di queste vesti, mi ha visto operare, tentando di dare un nome alla mia molteplice identità professionale.
Chi forse lo ha definito meglio è il mio amico Federico Mioni, nel suo nuovo libro «Manuale vissuto per un Knowledge Worker: Nove vite fra ricerca, imprese, atenei».
Knowledge Worker: la nostra identità lavorativa non dovrebbe essere limitata a una singola etichetta, ma dovrebbe riflettere la totalità delle nostre competenze, esperienze e passioni. Essere un Knowledge Worker significa unire diverse competenze e interessi per creare opportunità uniche.
L’evoluzione del mondo del lavoro ci sta spingendo a guardare oltre le tradizionali definizioni di carriera. Oggi che l’apprendimento continuo è fondamentale e le competenze possono diventare obsolete in pochi anni, la capacità di adattarsi e di reinventarsi è più preziosa che mai.
In un mondo digitalizzato, dove un tweet può raggiungere milioni di utenti in un secondo, la reputazione può essere costruita o distrutta rapidamente. Ma per un vero “knowledge worker”, la reputazione è il risultato di anni di duro lavoro, impegno e integrità. Essa si guadagna attraverso la condivisione e il trasferimento di competenze.
Il trasferimento delle competenze va oltre la semplice istruzione. È un investimento nel futuro. Assicura che le generazioni successive siano altrettanto, se non più, competenti e preparate di quelle attuali. È un dono che continua a dare, creando un ciclo di apprendimento e crescita.
La mentorship, tuttavia, non è unidirezionale. Mentre trasferiamo la nostra esperienza, impariamo anche dai nostri mentee. Essi ci offrono nuove prospettive, ci sfidano con domande fresche e ci tengono in contatto con le evoluzioni del mondo. Federico, ad esempio, pur essendo un mentore, ha sempre sottolineato quanto abbia imparato dai suoi studenti e collaboratori.
La nostra epoca è contraddistinta da cambiamenti rapidi e spesso imprevisti. L’intelligenza artificiale, la robotica e altre tecnologie stanno rivoluzionando interi settori. Di fronte a tali sfide, la capacità di adattarsi, apprendere e reinventarsi è più preziosa che mai. E mentre affrontiamo questi cambiamenti, dobbiamo anche riflettere su ciò che significa essere umani in un mondo sempre più tecnologico.
Oggi un ragazzo della generazione Z può essere un blogger-fotografo-designer o programmatore-artista-musicista. Non si limita a una singola definizione di ruolo professionale, ma combina diverse passioni e competenze.
E non si raggiunge questa consapevolezza con la sola conoscenza ma soprattutto con i racconti di chi ha avuto la capacità di utilizzare questa conoscenza in modi innovativi. Il knowledge worker rappresenta forse l’apice di questa evoluzione, combinando la profondità della conoscenza con la versatilità delle molteplici competenze.
Ecco perché il lavoro di Federico è così rilevante. La sua dedizione all’apprendimento e alla condivisione rappresenta una bussola per tutti noi. Ci mostra come navigare in un mondo complesso, mantenendo la nostra umanità, la nostra etica e i nostri valori.