Dopo due decenni di crescita costante, Nike – l’azienda famosa per il suo abbigliamento sportivo e, soprattutto, per le scarpe da ginnastica griffate con il celebre “baffo” – sta affrontando una crisi senza precedenti. A giugno, infatti, l’azienda statunitense con sede a Beaverton, ha presentato i dati relativi alle vendite degli ultimi mesi, dove si evince come, in 12 mesi, siano cresciute solo dell’1% rispetto all’anno prima.
Il rallentamento ha portato ad un crollo in borsa di oltre dodici punti percentuali, con il Financial Times che l’ha definito come uno dei peggiori risultati dell’azienda dal 1999 – escludendo il periodo della pandemia e la crisi finanziaria del 2009.
Sebbene la fama di Nike – riconosciuta come forse l’azienda più influente del settore – possa lasciare sorpreso qualcuno, in realtà non si tratta di una novità. È vero che il settore delle scarpe da corsa è in crescita, ma Nike, già lo scorso dicembre, aveva annunciato tagli per oltre 2 miliardi di dollari, licenziando parecchi dipendenti.
In più, la strategia di marketing adottata da Nike negli ultimi anni si è rivelata fallimentare: l’azienda, sotto la guida dell’amministratore delegato John Donahoe, si è concentrata meno sull’innovazione e più sui lanci di modelli storici e da collezione come Air Force e Jordan, ma anche collaborazioni di lusso.
Parte di questa crisi è anche dovuta alla lettura sbagliata che ha dato Nike alle evoluzioni del settore. Se è vero infatti che la crisi combacia con la crescita delle scarpe da corsa nel mercato delle calzature, è anche vero che, dopo la pandemia, la gente ha iniziato ad usare queste scarpe, effettivamente, per correre. E Nike si è trovata indietro rispetto alle tecnologie adottate dalle altre aziende.

L’interesse verso scarpe più comode e funzionali ha premiato soprattutto quelle aziende capaci di investire in tecniche e modelli diversi dal passato, sacrificando anche la bellezza e l’esteticità delle calzature. Le cosiddette chunky, le sneaker “tozze” spesso additate come “scarpe da papà”, hanno sempre più guadagnato quote di mercato, al suono di “brutte ma comode”.
Questa moda, che dura ormai da parecchi anni, ha fatto la fortuna di diverse aziende che fino a poco tempo prima annaspavano, schiacciate dalle grandi multinazionali come, appunto, Nike. È il caso, ad esempio, di New Balance, probabilmente il marchio che più di tutti è riuscito a posizionarsi meglio. Ma anche Asics e Reebok hanno rilanciato la propria immagine.
Marchi come Adidas, On e Hoka hanno infatti investito pesantemente in nuovi modelli e tecnologie, ottenendo risultati notevoli. Il valore delle azioni di On e dell’azienda proprietaria di Hoka, Deckers Brand, è aumentato rispettivamente del 44% e del 103% nell’ultimo anno. Il valore di Nike, invece, è calato del 17%.
Il calo di Nike è avvenuto anche per la scelta di ritirare il proprio abbigliamenti dagli scaffali di molti rivenditori terzi – ad eccezione di alcune catene selezionate, come Foot Locker -, preferendo così concentrare le vendite attraverso i propri store e canali digitali. A conti fatti, però, la scomparsa dai negozi ha favorito la crescita della concorrenza.

Per rispondere alla crisi, Nike sta tentando di correggere la rotta. Ha ridotto la produzione di modelli storici come le Air Force, puntando su soluzioni più innovative. Un esempio è il lancio del nuovo modello di Pegasus previsto per il 2025, in occasione delle Olimpiadi, la cui fascia premium disporrà di una suola particolarmente elastica ed una composizione di aria e schiuma di ultima generazione.
Un altro elemento chiave della strategia di rilancio è il rinnovo della collaborazione con il rapper Travis Scott, proseguendo un percorso durato finora sette anni e che ha portato alla creazione di sneaker iconiche. Dal 2017, quando il rapper lanciò la Cactus Jordan, ogni modello è diventato un bestseller, con alcune scarpe diventate oggetto di culto.
Ma quella con Travis Scott non è l’unica partnership strategica: l’azienda ha infatti presentato una linea di scarpe progettata con l’intelligenza artificiale insieme ad atleti internazionali, come il calciatore della nazionale francese Kylian Mbappé.
I cambi, comunque, riguardano anche la dirigenza. La scorsa settimana ha fatto ritorno in Nike Tom Peddie, storico dirigente andato in pensione e che ora dovrà occuparsi di ristrutturare la distribuzione del marchio per ritornare sugli scaffali dei negozi. Per quanto riguarda le vendite, invece, è fatta per l’assunzione di Tim Hamilton, ex dirigente di North Face, ora vicepresidente del dipartimento di Nike che si occupa di abbigliamento maschile.