Verso la fine del 2021, dopo quasi un anno dalla sua nomina a vicepresidente, Kamala Harris non stava propriamente rispettando le aspettative come prima donna a ricoprire quel ruolo. E questo anche in virtù del fatto che, all’epoca, doveva essere l’erede politica di Biden, sul quale già circolavano parecchi dubbi rispetto ad una ricandidatura per le elezioni che stiamo vivendo oggi.
I dubbi sulla Harris riguardavano anche e soprattutto le sue differenze con Biden, contro il quale, durante le primarie del Partito Democratico, arrivò ad essere molto dura ed accusarlo di aver favorito politiche segregazioniste. Lei, in quanto donna nera e per il personaggio pubblico che ha voluto costruirsi in ambito politico, è sicuramente molto più a sinistra dell’attuale Presidente. In più, arrivava alla vicepresidenza con molta meno esperienza politica rispetto a Biden, il che ha reso ancora più difficile il suo periodo di adattamento al ruolo.
Insomma, per la Harris non è stato facile approcciarsi così direttamente alla Casa Bianca, sebbene non con la carica più alta. In più, la stessa amministrazione Biden non ha fatto molto per aiutarla, anzi, la Harris si è spesso dovuta destreggiare fra compiti e materie non molto adatte per lei o impopolari, come la gestione della crisi immigratoria o la regolamentazione dell’intelligenza artificiale.
Per molti, in realtà, la scelta di Biden era assolutamente consapevole, atta a non creare controcorrenti interne che avrebbero potuto danneggiarne l’immagine, anche in vista di una possibile rielezione del Presidente.
Anche l’immagine stessa che si è dovuta costruire Kamala Harris non ha particolarmente aiutato nei primi tempi. La carriera politica della Harris all’interno del Partito Democratico si è sempre dovuta scontrare con quella di ex procuratrice molto intransigente con il crimine. L’immagine di donna nera dal pugno duro non l’ha favorita nel periodo in cui il Partito Democratico ha dovuto appoggiare le proteste del movimento Black Lives Matter e le richieste di tagli ai fondi della polizia.
Così la Harris ha dovuto adattarsi alle richieste dei propri consiglieri, che invece le richiedevano di concentrarsi sul ruolo di “prima donna nera” – prima donna nera a diventare procuratrice, prima distrettuale e poi generale, prima donna nera vicepresidente – e attivista per i diritti civili. E sebbene non fosse troppo distante da quest’ultimo ruolo, la sua identità brillava soprattutto quando emergeva quello di ex procuratrice, dove ovviamente si è sempre sentita a proprio agio.
È un dualismo che, però, non ha mai fatto bene alla sua figura politica, con gli elettori che l’hanno sempre bollata come poco coerente. E, come detto, la vicepresidenza non l’ha aiutata affatto, mantenendo la reputazione di persona inadeguata al ruolo.
Questo almeno fino a qualche tempo fa. Ultimamente, infatti, la Harris è risalita nelle gerarchie degli elettori e del Partito, anche grazie ad incarichi più consoni al suo background ed alla sua personalità, come la battaglia all’aborto dove si è particolarmente contraddistinta durante dibattiti ed interviste.
E quando le voci sul possibile ritiro di Biden si sono fatte più pressanti, la figura della Harris ha vissuto una nuova primavera. Molti pensano che la sua retorica sia in grado di abbattere Donald Trump in un eventuale dibattito, e la sua capacità di empatizzare con l’elettorato potrebbe aiutarla a riconquistare la fiducia degli elettori dopo la disastrosa campagna di Joe Biden.
Ora che Biden si è ritirato e dopo che ha rilasciato un endorsement alla sua vicepresidente, quello che tutti si chiedono è: Kamala Harris è in grado di vincere contro Donald Trump? Se lo chiedono gli elettori; se lo chiedono gli esponenti del Partito Democratico; probabilmente se lo chiede Trump stesso; sicuramente se lo chiedono i sondaggisti.
Con il giusto vicepresidente – se la giocano la governatrice del Michigan, Gretchen Withmer, e quello della Pennsylvania, Josh Shapiro -, la Harris potrebbe battere Trump in questi due Stati, aumentando di molto le proprie possibilità.
Possibilità che, negli ultimi sondaggi condotti, non erano troppo favorevoli alla probabile nuova candidata del Partito Democratico. Dopo il dibattito TV tra Trump e Biden, secondo i sondaggi la Harris avrebbe mantenuto gli stessi risultati di Biden, e lo stesso hanno confermato dopo l’attentato al candidato repubblicano in Pennsylvania. Per la CNN, la Harris recupererebbe quattro dei sei punti percentuali che distanziano attualmente Biden e Trump – non abbastanza da vincere le elezioni, comunque.
È chiaro che la Harris parte in una posizione di svantaggio: ha pochi mesi a disposizione per imbastire una campagna elettorale migliore di quella portata avanti finora da Biden, ereditando però i milioni raccolti fino ad ora. In più, la sua condizione di seconda donna candidata, dopo Hilary Clinton, dovrebbe riuscire a smuovere ulteriormente le organizzazioni femministe. Ma sta alla Harris convincere i leader dem di essere la giusta persona per sostituire Biden.