Tra disuguaglianze sociali e sfide culturali: il costo (insostenibile) dei figli

In un quadro segnato da precarietà lavorativa, aumento del costo della vita e carenze strutturali nelle politiche familiari, crescere un figlio rischia di diventare un privilegio per pochi. Essere genitori non deve più essere una corsa a ostacoli né un indicatore di privilegio sociale. Deve tornare a essere una scelta possibile, sostenibile e libera

Essere genitori oggi in Italia è una scelta sempre più difficile da sostenere, non solo dal punto di vista emotivo e sociale, ma soprattutto economico. In un quadro segnato da precarietà lavorativa, aumento del costo della vita e carenze strutturali nelle politiche familiari, crescere un figlio rischia di diventare un privilegio per pochi. È in questo scenario che mi ha colpito un articolo del ricercatore Enzo Risso, pubblicato su Il Domani, dal titolo: “Altro che assegno unico, un figlio costa (in media) fino a 500 euro al mese”.

L’analisi si basa su una recente indagine dell’Osservatorio Fragilitalia del Centro Studi Legacoop, in collaborazione con Ipsos, condotta nell’aprile 2025 su un campione di 800 maggiorenni. Dalle rilevazioni di Risso risulta che “per il 21 per cento delle famiglie le spese per i figli assorbono tra il 40 e il 70 per cento del bilancio mensile”. Le voci più rilevanti sono: “abbigliamento (58%), attività sportive (45%), testi scolastici (43%), materiale scolastico e svago (40%), spese mediche e rette scolastiche (38%)”. A fronte di questi costi, l’Assegno Unico e Universale si dimostra inadeguato: “tra un minimo di 57,50 euro e un massimo di 201 euro mensili per ciascun figlio”.

Le famiglie italiane investono molto nella crescita dei figli: “il 38% dei nuclei spende tra 301 e 500 euro al mese per figlio, il 13% tra 501 e 700 euro, il 9% tra 700 e 1700 euro”. Una disparità che riflette un’Italia profondamente segnata dalle disuguaglianze: “le famiglie con spese più alte appartengono al ceto medio-alto, con genitori istruiti e residenti al Nord”.

La ricerca evidenzia anche le motivazioni dietro l’aumento delle spese: “il 79% delle famiglie individua nell’inflazione e nell’aumento dei prezzi la causa principale, seguita dal desiderio di offrire esperienze formative (62%) e dai costi dell’istruzione (61%)”. Inoltre, il 55% dei genitori riconosce che la pressione sociale per “dare il meglio” incide significativamente sulle scelte educative. Questi dati mostrano chiaramente come crescere un figlio sia diventato anche una questione di status.

Eppure, un altro articolo di Risso, sempre su Il Domani, ci offre uno spunto diverso: “il 62% dei giovani tra i 18 e i 34 anni afferma di volere almeno uno o due figli”. Ma, contemporaneamente, “il 25% dichiara di non volerne affatto”, con un aumento del 9% negli ultimi due anni.

Non si tratta di un rifiuto dei valori familiari, ma della conseguenza diretta di un sistema ostile. La precarietà occupazionale, l’assenza di politiche strutturate, un sistema produttivo che penalizza il tempo della cura rendono la genitorialità un rischio più che una scelta libera. Il problema non è di ordine valoriale, ma strutturale: è l’architettura stessa delle opportunità a risultare fragile e selettiva. Il calo delle nascite non può più essere raccontato dai media come una responsabilità individuale: è piuttosto il sintomo evidente di un modello sociale che non sostiene chi desidera costruire il domani.

Di fronte a queste criticità, la genitorialità non può essere un’opportunità riservata a pochi. Deve essere riconosciuta come una componente essenziale della vita collettiva, da tutelare e rendere realmente accessibile. Sostenere chi sceglie di diventare madre o padre significa ridare fiducia al presente e restituire prospettiva al futuro.

Serve una riforma strutturale del welfare: accesso universale ad asili nido, scuola pubblica di qualità, sanità efficiente, servizi per l’infanzia diffusi e capillari. Ma serve anche una rivoluzione culturale: rimettere al centro la cura, la condivisione, la responsabilità collettiva, contro il modello individualista dominante.

Essere genitori non deve più essere una corsa a ostacoli né un indicatore di privilegio sociale. Deve tornare a essere una scelta possibile, sostenibile e libera. Il modo in cui oggi scegliamo di sostenere le famiglie dirà molto su che tipo di società vogliamo diventare. Ogni nascita, ogni famiglia che resiste alle difficoltà, è un gesto di fiducia nel tempo a venire.

Immagine di Francesco Pira

Francesco Pira

Professore Associato di sociologia dei processi culturali e comunicativi, insegna Comunicazione Strategica, Teorie e Tecniche del Giornalismo Digitale e Giornalismo Sportivo, Social Media e Comunicazione d’Impresa, presso i corsi di laurea magistrale e triennale del Dipartimento di Civiltà Antiche e Moderne dell’Università degli Studi di Messina. A marzo 2024 è stato nominato Presidente della branch Comunicazione Media e Informazione dii Confassociazioni, di cui era stato Vice Presidente e dal giugno 2020 è Presidente anche dell’Osservatorio Nazionale sulle Fake News. Il quotidiano italiano Avvenire l’ha definito uno dei maggiori analisti italiani del fenomeno Fake News.

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