Emergenza educativa: quando i genitori sferrano un pugno in faccia all’intera società

Ma non tutto è perduto. Non possiamo cedere al “cattivismo” e alla rassegnazione. La violenza non può e non deve oscurare le tante esperienze positive che ogni giorno animano le scuole italiane. Ci sono docenti, genitori, dirigenti e studenti che continuano a credere nella forza dell’educazione. È necessario ricostruire, passo dopo passo, il dialogo tra scuola e famiglia, incoraggiando il rispetto reciproco e la responsabilizzazione di ciascuno

L’aggressione al preside dell’istituto alberghiero Bergese di Genova non è solo un episodio di cronaca, ma un segnale preoccupante del deterioramento del rapporto tra scuola e famiglia. L’educazione, da fondamento condiviso, è diventata terreno di scontro. In una società in cui la tensione sociale e l’individualismo sembrano prevalere, occorre interrogarsi sulle radici di questi comportamenti e su come ricostruire un patto educativo oggi profondamente lacerato.

La giornalista Valentina Evelli ha scritto un articolo, pubblicato su La Repubblica, in cui ha raccontato il gesto inaccettabile subito da Andrea Ravecca, dirigente scolastico dell’istituto di Sestri Ponente. Secondo la ricostruzione, la madre dell’alunno “si sarebbe presentata a scuola dopo che il figlio aveva preso una nota per questioni disciplinari”.

Durante il colloquio con il preside, avrebbe prima aggredito verbalmente e poi fisicamente il dirigente scolastico che ha deciso di chiamare le forze dell’ordine. “A quel punto il genitore avrebbe deciso di lasciare la scuola e quando il preside ha chiesto di fermarsi la donna si è girata improvvisamente colpendo Ravecca con un pugno al volto”.

L’uomo è caduto a terra riportando “un trauma alle spalle e alla testa” ed è stato trasportato al pronto soccorso. “Sono amareggiato, quello che è successo è un segno di debolezza per tutta la società”, ha dichiarato il preside, sottolineando la gravità dell’azione, non tanto per sé stesso, ma per “il messaggio assolutamente diseducativo che è stato dato ai ragazzi”.

Questo evento si inserisce in un contesto già segnato da una crescente fragilità educativa. Sempre più spesso i genitori si comportano come “sindacalisti dei figli”, pronti a difenderli a prescindere, anche davanti all’evidenza di un atteggiamento scorretto.

Questa “genitorialità sovrabbondante” – o overparenting, come definita dagli psicologi statunitensi – mina alla base la crescita autonoma dei figli, li deresponsabilizza e indebolisce.

L’alleanza educativa tra scuola e famiglia si sta sgretolando. Frequentemente, i genitori interferiscono nella didattica, pretendono di concordare i voti con i docenti, sistemano zaini ai ragazzi del liceo e alimentano conflitti virtuali nelle chat scolastiche.

Per invertire questa rotta, servono nuovi strumenti educativi. La società deve tornare a offrire ai giovani figure di riferimento e ambienti favorevoli, capaci di sostenerli nelle loro insicurezze. È urgente promuovere corsi di formazione alla genitorialità responsabile. Mamme e papà devono imparare a razionalizzare, ragionare, riflettere anziché agire d’impulso.

Come dimostrato dalla mia ricerca, contenuta nel libro ‘Figli delle App‘, gli anni della pandemia hanno accentuato l’isolamento e la confusione identitaria degli adolescenti, spingendoli a percepire la realtà come un videogioco e a voler vincere a tutti i costi. Proprio per questo, molti di loro finiscono per chiedere aiuto ai genitori, aspettandosi che intervengano in ogni situazione.

In questo contesto, la scuola deve farsi promotrice di percorsi di educazione ai sentimenti e alla cittadinanza, coinvolgendo équipe multidisciplinari e proponendo progetti di inclusione e di supporto.

Non tutto è perduto. Non possiamo cedere al “cattivismo” e alla rassegnazione. La violenza non può e non deve oscurare le tante esperienze positive che ogni giorno animano le scuole italiane. Ci sono docenti, genitori, dirigenti e studenti che continuano a credere nella forza dell’educazione.  È necessario ricostruire, passo dopo passo, il dialogo tra scuola e famiglia, incoraggiando il rispetto reciproco e la responsabilizzazione di ciascuno.

Quanto accaduto al preside del Bergese è un campanello d’allarme che non possiamo ignorare. Non si tratta di un caso isolato, ma del sintomo di una crisi educativa più profonda, in cui la confusione dei ruoli e l’assenza di confini rischiano di compromettere la crescita dei nostri ragazzi. Solo attraverso una sinergia rinnovata tra scuola, famiglia e società possiamo restituire senso e valore alla parola “educare”. Perché educare significa, innanzitutto, costruire insieme.

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Francesco Pira

Professore Associato di sociologia dei processi culturali e comunicativi, insegna Comunicazione Strategica, Teorie e Tecniche del Giornalismo Digitale e Giornalismo Sportivo, Social Media e Comunicazione d’Impresa, presso i corsi di laurea magistrale e triennale del Dipartimento di Civiltà Antiche e Moderne dell’Università degli Studi di Messina. A marzo 2024 è stato nominato Presidente della branch Comunicazione Media e Informazione dii Confassociazioni, di cui era stato Vice Presidente e dal giugno 2020 è Presidente anche dell’Osservatorio Nazionale sulle Fake News. Il quotidiano italiano Avvenire l’ha definito uno dei maggiori analisti italiani del fenomeno Fake News.

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