«Guardatemi bene, perché non mi dimenticherete: sarò l’unico uomo della vostra vita a vestirvi, invece che spogliarvi». Si presenta così, Karl Lagerfeld, alle prostitute ingaggiate come modelle per rompere gli schemi alla sua prima sfilata parigina con Chloé.
Becoming Karl Lagerfeld, al suo debutto su Disney+ il 7 giugno, è la nuova serie prodotta dai francesi Gaumont e Jour Premier che racconta il couturier tedesco scomparso nel 2019 e diventato icona della moda internazionale. È tratta dal bestseller Kaiser Karl: The Life of Karl Lagerfeld di Raphaëlle Bacqué (in Italia lo pubblica Feltrinelli) e vede protagonista l’attore tedesco Daniel Brühl nei panni dello stilista, affiancato da Théodore Pellerin, Arnaud Valois, Alex Lutz.
Si comincia a Parigi: è il 1972, Lagerfeld è ancora poco conosciuto e vive con sua madre, ma ha appena ottenuto l’incarico di direttore artistico per Chloé. La serie tuttavia si sofferma soprattutto sulla personalità e la sua vita privata, mentre il mondo della moda scorre sullo sfondo.
Scopriremo così la sua tormentata storia d’amore col sensuale Jacques de Bascher (Pellerin), giovane dandy ambizioso e problematico che diventerà il simbolo delle follie parigine. La competizione professionale (e personale) con l’amico Yves Saint Laurent (Valois), celebre genio dell’haute couture sostenuto dal discusso businessman Pierre Bergé (Lutz). E ancora, gli incontri con la leggendaria attrice Marlene Dietrich (Sunnyi Melles), che pare all’inizio avesse bocciato il suo stile, e con Paloma Picasso (Jeanne Damas), con la modella Loulou de La Falaise (Claire Laffut), col grande Andy Warhol (Paul Spera).
Brühl, chi è il Lagerfield che lei interpreta in questo biopic?
«Un uomo dai mille talenti e dalle mille contraddizioni. Uno straordinario intellettuale, appassionato di Proust e dei romantici tedeschi, e allo stesso tempo una vera e propria icona del mondo della moda e della cultura pop. Un grande artista, fotografo e illustratore, che ha creato anche degli splendidi libri d’arte, e contemporaneamente uno smaliziato uomo d’affari».
Una personalità sfaccettata.
«Che io mi sono molto divertito ad esplorare, anche se interpretarlo è stato parecchio impegnativo. Anche perché quando affronti un personaggio così misterioso che al tempo stesso è anche un’icona, il rischio di scadere nella caricatura è dietro l’angolo. E c’erano alcuni suoi aspetti particolarmente delicati e intimi, da capire. Karl era un uomo dominato dal grande desiderio di affermarsi nella moda e conquistare Parigi. Tuttavia voleva anche l’amore e cercava di aprirsi, però temeva perdere il controllo. Io e lui siamo molto diversi, ma sono riuscito a creare un collegamento, e ho anche conosciuto alcuni aspetti che ci accomunano, per esempio la solitudine».
Lo aveva mai incontrato?
«Una volta sola, parecchi anni fa, per un servizio fotografico. Era già il personaggio che conosciamo tutti, capelli bianchi, occhiali scuri, guanti, ma per un istante sono riuscito a incrociare il suo sguardo, e nella serie volevo poter esplorare le sue fragilità, il suo lato romantico».
Lei che rapporto ha col mondo della moda?
«Lo prendo molto seriamente da quando diversi anni fa ho conosciuto Alessandro Sartori, il direttore artistico di Zegna, col quale sono diventato molto amico. È un mondo complesso, che marcia a ritmi folli, in cui bisogna continuamente reinventarsi. E ho capito che non è per nulla facile fare lo stilista».
Ha sofferto di essere tedesco, nel mondo del cinema, come è accaduto a Lagerfeld in quello della moda?
«Più che altro mi sono sentito vicino a Karl nel suo desiderio di attraversare le frontiere e conquistare culture diverse, perché l’ho avuto anch’io fin da bambino. Sono nato in una famiglia melting pot, madre spagnola, padre tedesco, due zie francesi, e abbiamo vissuto tutti insieme tenendo vive le lingue e le culture. Così, inevitabilmente, quando ho iniziato a lavorare ho pensato: vado in Francia, in Spagna o in Inghilterra? Mio padre mi raccontava sempre che l’imperatore Carlo V d’Asburgo, che era poliglotta, diceva che a Dio ci si rivolge in spagnolo, alle amanti in francese e ai cavalli in tedesco».
C’è un aneddoto di set che può raccontarci?
«Ne ho uno molto divertente che riguarda il mio partner Théodore Pellerin, un ragazzo fenomenale. Quando ho cominciato la serie giravo le scene con Marlene Dietrich, e il primo giorno ero molto nervoso per la responsabilità di intrepretare un personaggio così complesso. La sera, però, ad aspettarmi in hotel c’era un enorme bouquet di rose, bellissimo, tanto che ho chiamato mia moglie per dirle: cara, io rose così non te ne ho mai regalate. Erano accompagnate da un biglietto che diceva: a Carlito da Jacques. Me le mandava Pellerin per augurarmi buona fortuna e in qualche modo avviare la relazione amorosa che avremmo portato sul set. Un gesto che ho trovato molto intelligente e molto elegante. Quando poi abbiamo cominciato a lavorare insieme, ed era la prima volta che io recitavo una storia d’amore con un uomo, la chimica tra noi era incredibilmente buona. Tanto che a un certo punto ho chiamato di nuovo mia moglie e le ho detto: tesoro, mi spiace e non so come dirtelo, ma io amo quest’uomo!».