Scienziato, inventore, imprenditore e primo “start upper” della storia moderna, premio Nobel per la fisica nel 1909: Guglielmo Marconi (1874-1937), pioniere delle moderne telecomunicazioni e padre della telegrafia senza fili e della radio, è il protagonista della miniserie Rai Marconi – L’uomo che ha connesso il mondo.
Due puntate in arrivo su Raiuno il 20 e 21 maggio (ed entrambe su RaiPlay dal 20 maggio) in occasione del 150° anniversario dalla sua nascita e delle celebrazioni per i 100 anni dall’avvio di Radio Rai.
Prodotta da Stand by Me e Rai Fiction con la regia di Lucio Pellegrini, la miniserie segue la vita dello scienziato dalla sua giovinezza, quando appena ventenne effettuò la prima trasmissione senza fili, fino alle imprese straordinarie come la prima trasmissione transoceanica della storia, che realizzò nel 1901 tra la Cornovaglia e il Canada.
Girata nei luoghi reali della vita di Marconi, tra cui la residenza storica della sua famiglia, villa Griffone a Sasso Marconi, mescola storia e fiction con un tocco di “spy”; del resto è un fatto storico che nell’ultima parte della vita lo scienziato fu sottoposto a sorveglianza da parte dell’Ovra, la polizia politica dell’Italia fascista, anche per i suoi rapporti con la giornalista dissidente Lisa Sergio, che aiutò a fuggire in America.
A dare il volto a Marconi c’è l’attore Stefano Accorsi.
Come è entrato nei panni di questo straordinario scienziato italiano?
«Ovviamente Marconi io non l’ho mai conosciuto, e quindi anche per me è stato una scoperta. Stupefacente, tuttavia. Nel senso che nel momento in cui hai a che fare con un uomo di tale genio e intuizione, non puoi che rimanerne affascinato. E ti chiedi anche da dove gli giungesse quella visione così proiettata nel futuro».
Che cosa l’ha colpita del personaggio?
«La sua grande vocazione. Una vocazione istintiva, che lo ha guidato fin dalla giovanissima età, come se appunto in lui ci fosse una visione che in qualche modo travalicava il sapere della sua epoca. Ed è incredibile constatare che ancora oggi molte persone che si occupano di telefonia, anche a livelli importanti, vanno a visitare i luoghi nei quali Marconi è cresciuto. Perché lui ha inventato un qualcosa che prima non esisteva, mentre loro possono solo apportarci delle migliorie».
E com’è il Marconi che lei ha portato nella serie?
«Abbiamo lavorato molto sulla dicotomia tra il personaggio pubblico e l’uomo che era nel privato, cercando di restituirgli la sua complessità. Il Marconi pubblico credeva con fede assoluta nella sua idea di scienza, nonostante gran parte degli scienziati coevi ritenessero irrealizzabili gli esperimenti a cui si dedicava. Era un grande talent scout, per esempio sponsorizzava i giovani scienziati di via Panisperna, ed un incredibile innovatore, anche dal punto di vista imprenditoriale».
E quello privato, invece?
«Conviveva con una grande solitudine. Perché quando rendi possibile ciò che tutti gli altri ritengono impossibile, imprimi una accelerazione pazzesca alla tua vita, e in qualche modo diventi un “diverso”. E infatti lui ha trascorso gran parte della vita sul suo panfilo laboratorio, l’Elettra, con la sola compagnia della moglie, della figlia e dei pochi che lavoravano con lui».
La miniserie racconta anche che nonostante Marconi avesse in qualche modo aderito al fascismo, finì nel mirino dell’Ovra.
«Mussolini voleva un’arma e gli aveva chiesto di fabbricargli il famoso “raggio della morte” che compariva anche nei fumetti dell’epoca, e lui non lo fece. Il regime non capiva a che cosa stesse lavorando, così volle spiarlo. In realtà lui si stava dedicando a una sorta di proto radar che non aveva alcuno scopo bellico, e continuava ad investire sulla libera ricerca scientifica, smarcandosi dal potere. Perché era un uomo che creava ponti, non muri, e non desiderava affatto che le sue invenzioni diventassero strumenti di distruzione».