La memoria che non si spezza: l’incontro con Antonia Arslan

Il 29 ottobre 2025, gli studenti e le studentesse di terza media e del Liceo de La Scuola d’Italia di New York hanno avuto l’opportunità di incontrare la Dottoressa Antonia Arslan, in occasione del ventennale della pubblicazione del suo romanzo “La masseria delle allodole”. Un incontro che ha saputo coniugare la necessità della memoria storica con la profondità del ricordo personale, offrendo agli studenti una testimonianza diretta di una delle pagine più tragiche del Novecento.

Antonia Arslan, nata a Padova nel 1938 da famiglia di origine armena, è una scrittrice e saggista italiana. Laureata in archeologia classica, è stata per molti anni professoressa di Letteratura italiana moderna e contemporanea all’Università di Padova. Ha rivelato la sua profonda identità armena, diventando una delle voci più importanti nella testimonianza del genocidio armeno e trasformando la memoria familiare in una missione culturale e civile.

“La masseria delle allodole”, pubblicato da Rizzoli nel 2004, è stato tradotto in venti lingue e diretto dai fratelli Taviani per il cinema. Il romanzo ha vinto numerosi premi, tra cui il Premio Selezione Campiello e il Premio Giuseppe Berto per l’Opera Prima, affermandosi come un’opera fondamentale per la comprensione del genocidio armeno.

Il romanzo racconta la storia della famiglia Arslanian nell’Anatolia del 1915. La masseria delle allodole è la casa, sulle colline dell’Anatolia, dove nel maggio 1915 vengono trucidati i maschi della famiglia, adulti e bambini, e da dove comincia l’odissea delle donne armene, trascinate attraverso marce forzate e campi di prigionia. Un’epopea di sofferenza ma anche di straordinaria resilienza, dove l’amore per la vita resiste anche di fronte all’orrore più assoluto.

Il genocidio armeno: contesto storico

Con il termine genocidio armeno si indicano le deportazioni ed eliminazioni sistematiche di armeni perpetrate dall’Impero ottomano tra il 1915 e il 1923. Gli armeni usano l’espressione Medz Yeghern, “grande crimine”, che si commemora il 24 aprile.

Il 24 aprile 1915, nella notte tra il 24 e il 25 aprile, da 235 a 270 leader armeni di Costantinopoli furono arrestati. Questa deportazione degli intellettuali è considerata l’inizio del genocidio. Dei 2,5 milioni di armeni nell’impero ottomano all’inizio del secolo, si stima che circa un milione morì attraverso uccisioni sistematiche, marce della morte, fame e malattie.

L’origine personale del romanzo

Durante l’incontro, la Dottoressa Arslan ha condiviso l’origine profondamente personale del suo romanzo. La necessità di scrivere “La masseria delle allodole” nasce da un’esperienza d’infanzia, quando il nonno paterno le raccontò la storia della loro famiglia: il resoconto di una tragedia, la testimonianza di chi era sopravvissuto lasciando la propria terra da ragazzo e aveva visto la propria famiglia essere decimata.

Quel racconto rimase impresso nella memoria della giovane Antonia, sedimentandosi negli anni fino a trasformarsi in una necessità narrativa. Non era più solo la storia della sua famiglia, ma la storia di un intero popolo che rischiava di essere dimenticato. Questa genesi familiare conferisce all’opera un’autenticità che va oltre la ricostruzione storica, rendendo “La masseria delle allodole” un’opera unica, capace di toccare il cuore dei lettori oltre che la loro coscienza storica.

Un incontro di profonda intensità

L’atmosfera durante l’incontro è stata caratterizzata da un rispettoso silenzio. Gli studenti hanno ascoltato con attenzione mentre la scrittrice spiegava come la letteratura possa diventare strumento di memoria, come un romanzo possa dare voce a chi non l’ha più. La Dottoressa ha anche letto alcune poesie tratte da “Mari di grano” di Daniel Varujan, facendo sentire il legame profondo con la cultura armena e la sua ricchezza spirituale.

La Dottoressa Arslan ha parlato con quella dolcezza che chi ha conosciuto il dolore indiretto, trasmesso attraverso le generazioni, sa modulare. Non c’era rabbia nelle sue parole, ma una determinazione ferma nel non permettere che quei morti vengano dimenticati.

Ha raccontato con particolare commozione degli orfanotrofi in Siria che accolsero i sopravvissuti, dove si crearono legami strazianti e salvifici: madri che avevano perso i propri figli e bambini rimasti orfani trovarono conforto gli uni nelle braccia degli altri, ricostituendo legami familiari spezzati dalla violenza.

La ferita che non si rimargina

Il momento più intenso dell’incontro è arrivato quando una studentessa ha posto una domanda di straordinaria profondità: “La comunità armena è guarita dalla ferita del genocidio?”. La risposta della Dottoressa Arslan è stata chiara e dolorosa: no, la comunità armena non è guarita.

Ha spiegato che la ferita rimane aperta perché non c’è mai stato un riconoscimento ufficiale da parte del governo turco. La Turchia continua a negare il genocidio ai danni degli armeni. Per questo motivo si parla di “genocidio infinito”: non sono solo le morti, le violenze, le deportazioni del 1915, ma anche la negazione che continua, giorno dopo giorno, anno dopo anno.

Nel mondo 30 Stati hanno ufficialmente riconosciuto tali eventi come genocidio, ma la mancanza del riconoscimento da parte della Turchia rende impossibile una vera elaborazione del lutto. Ancora oggi la Turchia non riconosce l’Armenia e non intrattiene rapporti con lo stato armeno.

Quella risposta ha fatto comprendere agli studenti qualcosa di fondamentale: le ferite della storia non si rimarginano da sole. È necessario il riconoscimento, la giustizia, la verità. Senza tutto questo, il dolore rimane aperto e si trasmette di generazione in generazione.

La letteratura come resistenza

La Dottoressa Arslan ha evidenziato il ruolo fondamentale della letteratura come strumento di memoria e giustizia. Un romanzo come “La masseria delle allodole” riesce a fare quello che spesso la storiografia da sola non può fare: toccare il cuore prima della mente, rendere concreto e personale ciò che rischia di rimanere astratto. Attraverso la narrazione, i morti tornano a essere persone, con nomi, volti, storie.

Ha mostrato agli studenti come scrivere possa essere un atto di resistenza, come raccontare possa essere un modo per combattere l’oblio. In un mondo dove il negazionismo cerca di cancellare i fatti, la letteratura diventa un baluardo della verità.

Un testimone per il futuro

Gli studenti hanno compreso che il genocidio armeno non è solo una pagina di storia da studiare sui libri, ma una questione ancora aperta, una ferita che continua a sanguinare. Hanno capito che il silenzio e l’indifferenza sono complici quanto la violenza diretta, e che ognuno ha la responsabilità di opporsi al negazionismo.

Il libro è stato tradotto in 22 lingue, 23 se si considera quella turca, che è stata stampata ma a cui non è mai stato dato il permesso di circolare sul mercato. Anche questo dettaglio racconta la persistenza del negazionismo e l’importanza della battaglia culturale per la verità.

Secondo lo storico polacco Raphael Lemkin (che ha coniato il termine genocidio) si è trattato del primo episodio in cui uno stato ha pianificato ed eseguito sistematicamente lo sterminio di un popolo.

Ora spetta agli studenti raccogliere il testimone: non dimenticare quello che hanno ascoltato, parlare del genocidio armeno con chi non lo conosce, opporsi al negazionismo, costruire un futuro in cui la memoria non sia solo un esercizio retorico ma un impegno concreto.

La Dottoressa Arslan ha dimostrato che anche di fronte all’orrore più grande, la dignità umana può resistere, la speranza può sopravvivere, e la memoria può diventare uno strumento di giustizia. E ha ricordato a tutti noi che, quando ci verrà chiesto “Chi parla ancora oggi del genocidio degli armeni?”, la risposta deve essere: tutti noi. Sempre.

Immagine di Beatrice Innocenti

Beatrice Innocenti

Beatrice Innocenti è nata in provincia di Firenze e si è laureata in Filosofia all'Alma Mater Studiorum di Bologna nel 2017. Ha insegnato storia, filosofia e italiano in scuole in Italia, Svizzera, Perù e ora a La Scuola d’Italia di New York. Appassionata di letteratura e poesia, le vive come strumenti di introspezione e scoperta.

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