“La prima cosa che insegnavo ai giocatori i primi giorni di allenamento era prendersi il tempo necessario per infilarsi le scarpe e le calze come si deve. Sono queste le parti più importanti della tua attrezzatura. Giocherai su una superficie dura, perciò le scarpe dovranno calzarti a pennello. E dovrai evitare che le scarpe facciano delle grinze attorno al mignolo- di solito è li che vengono le vesciche – o sui talloni. Mostravo ai miei giocatori come andava fatto- Tira su la calza, poi falla aderire per bene. Stringi bene i lacci, sfruttando tutti gli occhielli. Poi fai il nodo. Poi ne fai un altro per evitare che si slaccino, l’ultima cosa che voglio è che si slaccino le scarpe durante la partita o durante un allenamento. È soltanto un piccolo dettaglio di cui tutti gli allenatori dovrebbero far tesoro, perchè sono i piccoli dettagli a portare grandi risultati.”
Queste parole sono state pronunciate da John Wooden, l’allenatore che ha ottenuto più titoli nella storia del basket universitario. Le sue squadre hanno vinto consecutivamente il maggior numero di partite e campionati. Il messaggio che il coach voleva trasmettere è che creare abitudini efficaci in ogni minimo dettaglio è ciò che fa la differenza tra vincere o perdere una partita.
Questa è una delle storie che mi pare possa rappresentare l’idea di Mindset americano (e ce ne sono davvero tante e non per forza simili tra loro e nel loro messaggio). Le cose piccole, che prese individualmente possono sembrare irrilevanti, ma tutte insieme hanno un effetto determinante sui risultati ottenuti.
Alla fine lo diceva pure il grande Edoardo De Filippo in uno dei miei monologhi preferiti (tratto da Peppino Girella). Spero non ci sia bisogno di una traduzione
Ci manca il necessario: cosa ’e niente. ‘O padrone muore e io perdo il posto: vabbuo’ cosa ’e niente, cosa ’e niente. Ci negano il diritto della vita: è cosa ’e niente. Ci tolgono l’aria: vabbuo’ che vvuo’ fa’, è cosa ’e niente. Sempre cosa ’e niente. A furia ‘e ddicere “è cosa ‘e niente” siamo diventati cos’e nient io e te.
Inverso e un pò più pessimista ma il concetto è lo stesso. Quante volte ci si ferma a riflettere sulle abitudini che governano le nostre giornate e che andrebbero eliminate? Quante volte poi ci giustifichiamo dicendo “Le persone sono fatte così” “io sono fatto così” “ Funziona così” “Si è sempre fato così”. Abbiamo delle abitudini automatiche. Per come ci muoviamo, per come parliamo pensiamo e persino per come siamo e appariamo verso l’esterno. La maggior parte non dipendono più da nostre decisioni e si attivano automaticamente come la regolazione della nostra temperatura corporea.
Molto spesso le persone si lasciano definire dagli altri e si ritrovano in un labirinto di supposizioni e giudizi che non corrisponde alla realtà e le fa sentire impotenti. Riuscire a liberarsi di questi limiti fasulli significa ottenere il successo in tutte quelle cose che sembrano impossibili da raggiungere. Per farlo, si può seguire il “modello senza limiti”; ogni volta che si ha la percezione di vivere una vita diversa da quella desiderata, per prima cosa bisogna chiedersi cos’è che tira il freno: dov’è l’ostacolo? Potrebbe essere nel proprio atteggiamento mentale, o nella propria motivazione, o nei propri metodi.
Di sicuro non è nel cervello, che è la macchina più incredibile che sia mai stata concepita, capace di processare i dati più velocemente di qualsiasi computer, dalla memoria potenzialmente illimitata, in grado di cambiare a seconda della situazione esterna e – soprattutto, delle richieste del suo “proprietario”.
Ad esempio, secondo uno studio condotto dalla neuroscienziata Eleanor Maguire dell’University College di Londra, i tassisti hanno un ippocampo – la parte della corteccia cerebrale che si occupa della memoria – più sviluppato rispetto a quello delle persone della stessa età, istruzione e intelligenza, che però non guidano i taxi.
Albert Einstein ha affermato che i problemi non possono essere risolti dallo stesso modo di pensare che li ha creati. In altre parole, non bisogna fare riferimento a un unico modo di vedere le cose.
Ogni piccola conquista è un passo nella giusta direzione, ma Naveen Jain – vincitore della Albert Einstein Technology Medal – suggerisce di non accontentarsi di conquiste “piccole” e di rendere invece il proprio pensiero “esponenziale”: quando il pensiero lineare vede un problema e cerca una soluzione, il pensiero esponenziale decide di esaminare la vera causa del problema per risolverlo una volta per tutte. Jain usa come esempio la mancanza di acqua dolce in molte parti del mondo. Ci potrebbero essere varie soluzioni: dal migliorare la filtrazione delle pompe al creare sistemi per portare l’acqua potabile dove scarseggia di più… Ma cosa succederebbe se invece ci si concentrasse sulla vera causa del problema? Troppa acqua dolce viene utilizzata per l’agricoltura. Ed ecco che spuntano decine di soluzioni diverse e decisamente più efficaci, che tirano in ballo tecniche agricole da sviluppare, come l’aeroponica e l’acquaponica. Aprire la mente e affidarle l’analisi del problema rende molto più probabile trovare la soluzione.
Quindi tutto parte dal rivedere le abitudini e visto che mi piace concludere con delle liste ho trovato un libro interessante di Stephen Guise dal titolo Mini Habits che dà 8 consigli per applicare nuove mini abitudini
- scegliamo un’abitudine e facciamo un piano. Scegliamola tra le abitudini che inseguiamo da tempo. Possiamo anche cominciare con più di una, per un massimo di quattro.
- identifichiamo il bisogno dietro l’abitudine per capire se è davvero positiva e benefica, chiedendoci perché vogliamo adottarla.
- definiamo lo spunto che attiva l’abitudine. Per esempio, fare un certo esercizio dopo colazione.
- creiamo un piano per le ricompense, che possa aiutare il nostro cervello ad accettare la nuova abitudine.
- scriviamo tutto, perché farlo aiuta il cervello a prendere quel pensiero in considerazione molto più di altri.
- pensiamo in piccolo. Se ci concentriamo su obiettivi piccoli, daremo modo alla nostra forza di volontà di rafforzarsi ogni giorno.
- rispettiamo il nostro piano e mettiamo da parte le aspettative esagerate, che rappresentano un pericolo poiché è facile disattenderle.
- cerchiamo di capire se l’abitudine si sta consolidando. Quando ciò accade, avvertiamo sempre meno resistenza, ci identifichiamo con essa, non dobbiamo prendere alcuna decisione per metterla in pratica e non ci preoccupiamo di essa.
Le grandi intenzioni e i grandi piani che abbiamo sono inutili se non portano risultati. L’intenzione senza azione fa solo male alla fiducia in se stessi.
Antony Robbins diceva “Non è quello che facciamo di tanto in tanto che modella le nostre vite ma quello che facciamo costantemente.