Nel nuovo episodio del podcast Ritratti, condotto da Claudio Brachino per ilNewyorkese, sono stati protagonisti due voci autorevoli del mondo delle macchine per costruzione italiane: Filippo Muccinelli Venieri, imprenditore alla guida della storica azienda Venieri S.p.A. di Lugo di Romagna, e Luca Nutarelli, direttore di UNACEA, l’Unione italiana delle macchine per costruzioni. Insieme hanno raccontato un’Italia meno celebrata ma fortemente competitiva: quella della meccanica di precisione, della cultura industriale che affonda le radici nel Dopoguerra, della qualità come cifra identitaria e strategica. Un dialogo che attraversa storie di famiglia, fiere internazionali, sfide doganali, e una chiara volontà di essere protagonisti nei mercati globali, soprattutto in Nord America.
«Siamo la ditta Venieri S.p.A. di Lugo di Romagna, fondata nel 1948, e rappresentati in ambito associativo da UNACEA, di cui faccio parte del Consiglio direttivo» ha raccontato Filippo Muccinelli Venieri.
«Siamo alla terza generazione di una società familiare che produce macchine movimento terra. La cosa interessante è che questo settore è nato in Italia, ma oggi siamo rimasti l’unica azienda a capitale interamente italiano che costruisce questo tipo di macchine. Lavoriamo in Europa e fuori, in particolare negli Stati Uniti e in Canada, mercati che abbiamo iniziato a esplorare già nel 2018 come sbocco naturale per i nostri prodotti». Un’identità radicata, quella della Venieri, che si proietta verso l’estero con determinazione e visione.
Sul piano associativo, Luca Nutarelli ha spiegato il ruolo di UNACEA: «È l’associazione dei costruttori e importatori italiani di macchine per costruzione. Contiamo una novantina di aziende associate. È un settore fondamentale per costruire infrastrutture: case, ponti, strade, fondazioni, ma anche per il riciclo dei rifiuti da costruzione. Una curiosità interessante è che la prima macchina movimento terra fu concepita, almeno a livello progettuale, da Leonardo da Vinci. Anche se probabilmente non fu mai costruita, il disegno esiste».
E proprio verso l’estero si orientano molte energie: «Gli Stati Uniti sono la seconda destinazione per le nostre macchine, subito dopo l’Unione Europea, con circa 655 milioni di euro l’anno. Quindi sì, negli Stati Uniti ci sentiamo un po’ a casa».
Non si tratta, però, di esportazioni episodiche. L’internazionalizzazione è un percorso strutturato, costruito su competenza e lungimiranza. «Le aziende del nostro settore sono ben strutturate per muoversi all’estero» ha osservato Nutarelli. «Certo, collaboriamo anche con ICE, per esempio per la partecipazione collettiva alla fiera Conexpo-Con/Agg, che si terrà l’anno prossimo negli Stati Uniti. Ma bisogna sottolineare che non siamo neofiti: le aziende che rappresentiamo sono medie imprese solide, veri e propri “campioni nazionali”. Producono macchinari industriali ad altissimo contenuto tecnologico e sono spesso leader in nicchie specifiche». E ha sottolineato: «Il mercato americano è sviluppato e non si presta a logiche da mordi e fuggi. Se si vuole entrare lì, bisogna portare eccellenza, qualità e avere una presenza commerciale strutturata. Gli USA non sono un mercato dove ci si improvvisa».
Portare la qualità italiana in America, però, significa anche scontrarsi con visioni diverse del fare impresa. «Il salto dalla piccola Lugo alla grande America non è banale» la riflessione di Muccinelli Venieri. «In Romagna ci definiamo “contadini: scarpe grosse, cervelli fini”, ed è proprio questa combinazione che ci permette di affrontare un mercato come quello americano. Lì ho imparato un detto: go big or go home. Ma oggi non vale più del tutto. Anche gli americani si stanno accorgendo che non è solo una questione di quantità, ma soprattutto di qualità. Noi non produciamo in massa: facciamo macchine customizzate, tecnologicamente avanzate, cucite su misura. La nostra è una sartoria del movimento terra».
Il racconto dell’Italia all’estero, tuttavia, spesso dimentica queste realtà industriali: «Assolutamente sì» ha commentato Muccinelli Venieri. «L’Italia all’estero non è solo food, fashion e luxury. È anche – e sempre di più – innovazione tecnologica, meccanica di precisione. Noi siamo nella Motor Valley, che per me si può riassumere in una parola: qualità». Una qualità fatta di competenza, progettazione e artigianalità industriale: «Questo pezzo di Italia non è mainstream, ma è fondamentale. Portiamo competenza, tecnologia, capacità di progettazione avanzata. Ecco perché credo che l’Italia debba raccontare meglio anche queste sue eccellenze meno visibili».
Non a caso, le fiere internazionali restano snodi fondamentali per il settore. «Nel business-to-business i classici del marketing ci sono, ma sono diversi da quelli del largo consumo» ha spiegato Nutarelli. «Il branding esiste, ma è meno emozionale e più tecnico. Le fiere continuano a essere cruciali, anche se stanno cambiando. Non basta più mettere una macchina in uno stand: le fiere che contano davvero sono quelle che producono contenuti, che fanno cultura tecnologica». E ha sottolineato un cambio di paradigma: «Se prima l’ufficio marketing stava vicino allo sgabuzzino, oggi è al centro delle strategie. Comunicare bene è diventato essenziale».
A preoccupare, oggi, è l’instabilità normativa, soprattutto nei rapporti transatlantici. «Più che i dazi in sé, preoccupa l’incertezza» ha affermato Muccinelli Venieri. «Ci preoccupa la mancanza di chiarezza. Il nostro settore punta sulla qualità, e quella resta un punto di forza anche con i dazi. Ma vorremmo sapere a che gioco stiamo giocando. Ci dite qual è il dazio? Bene, ci rimbocchiamo le maniche e lavoriamo». Una filosofia operosa, quella romagnola, che si è vista anche nei momenti più drammatici: «Due anni fa, dopo l’alluvione, in una settimana abbiamo rimesso in piedi tutto. Possiamo affrontare anche i dazi, ma vogliamo sapere da dove partire».
Dietro i numeri, però, ci sono anche i sogni. «La mia mission è portare Venieri nel mondo» ha confessato Muccinelli Venieri. «Sono nato a pane e Venieri. Dico sempre che ho il sangue giallo, perché le nostre macchine sono gialle. Il mio sogno – e anche la mia missione – è far conoscere la nostra azienda ovunque. E ce la farò». Un obiettivo condiviso anche da chi rappresenta il settore nel suo insieme: «Il nostro compito è essere l’infrastruttura che permette sogni migliori agli imprenditori» ha concluso Nutarelli. «Certo, può sembrare utopico, ma avere un sogno anche noi ci aiuta ad accompagnare meglio i nostri associati. E magari contribuire anche noi a sognare un’Italia industriale ancora più forte, più riconosciuta, più ascoltata».