Stefano Miceli: alla scoperta del maestro che dirigerà il Requiem di Mozart alla Cattedrale di St. Patrick

Il direttore d’orchestra e pianista di fama internazionale racconta il suo viaggio artistico e umano tra Italia e Stati Uniti. Dalla passione per Mozart alla missione educativa per i giovani musicisti, fino al grande evento del 6 novembre: la direzione del Requiem nella Cattedrale di St. Patrick

Nato a Brindisi e cresciuto artisticamente tra Napoli e Milano, Stefano Miceli è oggi una delle figure più autorevoli e cosmopolite del panorama musicale internazionale. Direttore d’orchestra, pianista e docente, vive a New York da oltre un decennio, dove alterna l’attività artistica a quella accademica e filantropica. Intervenuto ai microfoni de ilNewyorkese nel podcast Ritratti di Claudio Brachino, Miceli ha ripercorso le tappe di una carriera segnata da un dialogo continuo tra Italia e Stati Uniti, tra tradizione e innovazione, tra arte e impegno civile.

«Io sono italianissimo» racconta Miceli. «Sono nato a Brindisi, ho frequentato il Conservatorio di Napoli e poi ho vissuto e lavorato, come musicista e come agente culturale, tra Bergamo e Milano. Undici anni fa mi sono trasferito a New York per motivi professionali, insegno in università qui a New York, ma già dagli anni ’90 avevo un rapporto intenso con gli Stati Uniti. È stata una scelta in linea con il mio modo di vivere la musica: internazionale per natura, ma con un’anima profondamente italiana».

Una doppia appartenenza che non è mai diventata un distacco: «Non mi manca l’Italia, né sul piano umano né su quello professionale, perché la mia vita è ancora intrecciata con quella italiana. Forse se avessi vissuto uno stacco netto, mi sarei interrogato di più sul restare o meno».

Miceli si definisce «pianista per nascita e direttore per un’evoluzione naturale». Ha iniziato a suonare il pianoforte a cinque anni e a sedici ha debuttato a New Orleans, in un’America che già allora sembrava destinata a incrociare la sua strada. «Solo più tardi, dopo circa dieci anni di carriera al pianoforte, sono diventato direttore d’orchestra. Il pianoforte mi ha dato una prospettiva personale e introspettiva, la direzione, invece, mi ha aperto alla dimensione collettiva.

Sul palco, il pianista è solo: anche davanti a cinquemila persone, rimane in dialogo con se stesso. È un raccoglimento, quasi una celebrazione della propria interiorità. Da direttore, invece, il compito è opposto: rappresentare tutto questo senza avere uno strumento tra le mani, coordinando decine di menti e di sensibilità. È un atto di condivisione e di responsabilità».

Un equilibrio che Miceli esplora anche fuori dal podio, quando tiene conferenze per aziende sul ruolo del direttore d’orchestra come modello di leadership: «Motivare, ispirare, valorizzare i talenti di un gruppo: sono qualità che appartengono tanto alla musica quanto alla vita».

Giovedì 6 novembre Miceli sarà protagonista di un evento speciale: dirigerà il Requiem di Mozart nella Cattedrale di St. Patrick, sulla Fifth Avenue. «È un luogo simbolico per New York e per la comunità cattolica italiana. Il Requiem non veniva eseguito lì dal 1994. Mi emoziona sapere che da mesi è tutto esaurito: è un segnale di quanto la musica possa ancora unire. Mi piace pensare che, quando il pubblico non va a teatro, sia il teatro ad andare dal pubblico. Dirigere nella cattedrale sarà un modo per portare la musica nel cuore della città».

Sul palco ci saranno un centinaio di artisti tra orchestra e coro, in una coproduzione tra la Miceli Arts Foundation e la Cattedrale di St. Patrick. «Volevo includere anche artisti italiani: la produzione iniziale prevedeva solo musicisti americani, ma per me era importante dare spazio alla nostra tradizione. Tra i solisti ci sarà Valeria Girardello, mezzosoprano straordinario che ha cantato alla Scala e alla Fenice. Con lei, alcuni professori della Filarmonica della Scala e musicisti che collaborano con me da anni. È un gesto d’amicizia culturale, ma anche un modo per ribadire la qualità e l’identità della scuola italiana nel mondo».

Il Requiem, per Miceli, è più di un capolavoro musicale: è una riflessione sul senso della vita. «Mozart lo scrisse mentre stava morendo. È una messa funebre che parla di speranza: non chiude, ma apre. Rappresenta il passaggio tra la vita e l’ascesa spirituale, un ponte tra terreno e divino. È la musica perfetta per il messaggio che vogliamo trasmettere».

Accanto alla carriera artistica, Miceli porta avanti un impegno costante nel campo dell’educazione e della filantropia. La Miceli Arts Foundation è nata per volontà di un gruppo di sostenitori non italiani – iraniani, ucraini, americani – accomunati da una forte sensibilità filantropica. «Quando mi proposero di dedicarla alla mia attività, io volli inserire nello statuto un impegno preciso: promuovere non solo l’arte performativa, ma anche l’educazione musicale. La fondazione offre borse di studio, collaborazioni con conservatori italiani e un’accademia-laboratorio, la New York Academy Orchestra, dove ragazzi già diplomati possono crescere in un contesto internazionale. Tengo molto a includere studenti italiani, perché studiare qui è molto costoso. È un modo per restituire ciò che ho ricevuto: quando studiavo alla Catholic University di Washington, dopo il Conservatorio di Napoli, ho imparato di più dal confronto con studenti di culture diverse che dai metodi accademici. Oggi voglio offrire la stessa opportunità alle nuove generazioni».

Il legame con l’Italia rimane vivo anche attraverso i suoi progetti culturali. «Da cinque anni produco a New York il festival Music and Conversations with Stefano Miceli, un format che ora porterò anche in Italia. Non è solo un concerto, ma un dialogo con il pubblico. Prima di ogni brano si parla di ciò che l’artista sente e di come l’ascoltatore vive quella musica. A Natale faremo due eventi: uno a Brindisi e uno a Bergamo. È un modo per riportare in Italia un progetto nato a New York e continuare a costruire ponti tra i due mondi».

Essere un “ponte culturale”, per Stefano Miceli, significa più che viaggiare tra due Paesi: è una missione di connessione. «Ricevo tanti messaggi da giovani che vogliono venire in America. Essere un ponte non è solo aiutare qualcuno, ma creare percorsi condivisi, costruire progetti che uniscano le due sponde. Io credo che la cultura sia la vera diplomazia del mondo: un linguaggio universale che apre conversazioni anche dove la politica o l’economia non arrivano. I giovani sono i protagonisti di questo dialogo: sono loro che possono aprire e chiudere i ponti del futuro».

Con la forza, discreta ma dirompente, della musica e la profondità di un pensiero che unisce passione e responsabilità, Stefano Miceli incarna davvero quell’idea di cultura come strumento di dialogo e di pace. «Certo, a volte è faticoso» ammette. «Ma credo profondamente che dare voce culturale ai giovani significhi rafforzare un legame che va oltre i confini. Un legame che unisce l’Italia al mondo».

Immagine di Claudio Brachino

Claudio Brachino

Giornalista, saggista ed editorialista italiano. Laureato in Lettere, passione per il teatro, ha scritto con De Filippo e Michalkov. Poi 32 anni in Fininvest e Mediaset, dove è stato vicedirettore ed anchor di Studio aperto, due volte direttore di Videonews, la fabbrica dei format, direttore di Sport Mediaset e di Radio Montecarlo news. Inoltre, ha diretto per due anni il Settimanale, magazine cartaceo e web sulle Pmi, ha scritto per Il Tempo e Il Giornale, ora è editorialista del Multimediale di Italpress, opinionista tv per Rai e La7 e direttore editoriale di Good Morning Italy. Da poco ha firmato una collaborazione per lo sport del circuito Netweek.

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