Quella di Giovanni Bartocci non è una storia come un’altra

Dal tifo sfrenato per i Packers al campo del Super Bowl, passando per una trattoria romana nell’East Village: come Giovanni Bartocci è diventato un punto di riferimento per gli italiani a New York

Ristoratore, corridore, tifoso irriducibile della Lazio e volto amatissimo della comunità italiana a New York, Giovanni Bartocci è l’anima di Via della Pace, storica osteria romana dell’East Village, diventata punto di riferimento per italiani e newyorkesi. Dopo due incendi, il Covid e un visto scaduto, Bartocci non solo ha riaperto il suo locale, ma ha continuato a costruire comunità, resistenza e autenticità. La sua storia è fatta di fuoco (letteralmente), corse, nostalgia, caparbietà e cucina romana. E in questa conversazione, ci ha aperto le porte della sua esperienza americana, senza saltare neanche un passaggio.

Nato a Roma e cresciuto a Ronciglione, sul lago di Vico – uno dei laghi vulcanici più alti d’Italia – Giovanni comincia presto a girare il mondo. Dopo sei anni a Londra, dove muove i primi passi nel mondo della ristorazione e della gestione di locali, rientra in Italia. Ma è un passaggio breve: lo zio e altri parenti hanno aperto un ristorante a New York, Via della Pace, sulla 7th Street. Hanno bisogno di un manager, e lui risponde alla chiamata. Ha 28 anni.

New York lo conquista, ma non con la stessa energia selvaggia della giovinezza londinese. A Londra c’erano le prime pazzie, le serate, la scoperta della libertà. A New York, invece, Giovanni cerca di mettere a frutto tutto quello che ha imparato, di dare forma concreta alla sua esperienza. La città, però, non gli fa sconti. È una macchina impazzita, che corre 24 ore su 24. Via della Pace è aperta dalle 11 del mattino all’una di notte, e non si ferma mai. «Londra è una donna sensuale», dice, «mentre New York è una modella bellissima: entrambe ti possono far perdere la testa».

In realtà, Bartocci in America arriva anche a riscuotere una certa notorietà: nel 2011, a 32 anni, finì sulle cronache sportive americane dopo aver celebrato la vittoria dei Green Bay Packers al Super Bowl di Dallas. Partito da New York senza neanche un biglietto, riesce ad ottenere un pass per accedere al campo nei minuti finali della partita, e viene immortalato dietro ad Aaron Rodgers nel celebre spot “I’m going to Disney World”, trasmesso in tutto il paese. Un gesto spontaneo, eccessivo, da “that guy”, come lo ha definito un giornalista americano: un termine per indicare quelli che si trovano sempre nel posto giusto al momento giusto.

La passione di Bartocci per i Packers nasce durante una visita negli Stati Uniti all’età di 14 anni, quando assiste a una partita della squadra a Lambeau Field. Da allora, il suo tifo per i Packers è diventato parte integrante della sua identità, tanto da essere riconosciuto come uno dei più ferventi sostenitori della squadra fuori dagli Stati Uniti. Ancora oggi, al ristorante, lo vengono a trovare i tifosi dei Packers di tutta l’America, incuriositi da una figura tanto affezionata quanto “lontana” dalla squadra di Dallas.

Ma questa non è poi una storia legata allo sport, quanto alla ristorazione. La sfida più grande? Non certo seguire i Packers, quanto portare la vera cucina romana in una città dove l’italianità è spesso rappresentata dalla tradizione italo-americana. «Abbiamo deciso di essere rigidi, di non scendere a compromessi», racconta Bartocci. «Carbonara, amatriciana, gricia: si fanno col guanciale, non con lo speck. E il pecorino è quello romano, punto. Se un cliente vuole spaghetti con le polpette? Gli portiamo i piatti separati. Se vuole il parmigiano sui ravioli di pesce? Glielo portiamo, ma se lo mette da solo. Siamo venuti qui per essere autentici, perché ci manca casa».

Via della Pace è diventato un punto di ritrovo per la comunità italiana. «È un posto dove ritrovare le stesse cose che mancano anche a te», spiega. Il locale è accessibile nei prezzi, pensato come una vera trattoria dove puoi entrare senza doverti mettere in tiro, «come se stessi facendo una passeggiata a Roma». La filosofia è quella di far sentire tutti a casa.

Eppure, il percorso non è stato facile. I momenti più duri sono arrivati con due incendi devastanti: il primo, il 10 febbraio 2020; Il secondo, il 5 dicembre dello stesso anno, ha distrutto anche la chiesa vicina e il palazzo. In mezzo, la pandemia, e un visto scaduto che lo costringe a rimanere bloccato negli Stati Uniti, senza possibilità di tornare in Italia. «Ero solo, il ristorante chiuso, non potevo lavorare. Mi sentivo impazzire». È in quel momento che nasce la sua maratona. «Mi sono messo a correre. Come Forrest Gump. Ho trovato la liberazione nella corsa».

Decide di partecipare alla cinquantesima edizione della maratona di New York, raccogliendo fondi per i bambini. Ogni chilometro lo dedica a una persona importante della sua vita. Si allena da solo, con un programma scaricato da un’app, e corre 875 chilometri in sei mesi e mezzo. «L’unica cosa che potevo fare era correre». E riesce a completare la maratona in 4 ore, 8 minuti e 57 secondi. «È stata una sensazione assurda. Quando parti dal Verrazzano e vedi Central Park laggiù, pensi: ‘Come ci arrivo fin là?’. Ma la città ti spinge».

Nel frattempo, non smette di tifare. Lo US Open si svolge in «bolla», senza pubblico, ma Giovanni non si arrende. Con un megafono va fuori dallo stadio a fare il tifo per Matteo Berrettini. La scena viene ripresa dalle telecamere di ESPN. Il New York Times gli dedica un articolo: il ristoratore italiano, grande amico di Berrettini, il cui locale è stato distrutto da un incendio. È grazie a quell’articolo che, pochi mesi dopo, una persona gli scrive: ha letto la storia, ha un palazzo, vuole offrirgli uno spazio. È un ristorante storico, ex locale di cucina di pesce, al 87 East 4th Street. I numeri dell’indirizzo sono esattamente quelli del vecchio locale, ma rimescolati. «Mi vengono ancora i brividi. Era un segno».

Oggi Via della Pace è rinata. E Giovanni ha anche aperto un piccolo alimentari, Via della Scrofa, dove si vendono panini con la porchetta, pasta fresca e prodotti italiani, dall’Alpe all’Etna. Aperto fino alle sette di sera, è un’altra estensione di quel desiderio di casa che lo accompagna ovunque.

Bartocci riflette anche su come sia cambiata la ristorazione a New York. Il New York Times, racconta, ha ancora un peso enorme: un articolo recente ha portato al locale quattro mesi di fila completamente pieni. I social hanno cambiato i tempi del servizio, rallentato i turni, ma la sostanza è la stessa: «Se fai da mangiare bene, funziona. New York ti mette in competizione con tutto il mondo. Se vuoi mangiare greco, vai a Astoria e trovi il vero sapore della Grecia. Se vuoi il giapponese, c’è. Questa città ti fa viaggiare senza muoverti».

Alle nuove generazioni italiane che arrivano, consiglia una sola cosa: avere fame. «Come diceva Steve Jobs. Non è più come trent’anni fa, il sogno americano non è facile. Ma se hai fame, se non ti spaventa lavorare duro, puoi farcela. A New York, dove tu non lavori, c’è sempre qualcuno che lo sta facendo al posto tuo».

E se gli chiedi quali siano i suoi luoghi del cuore, ti parla di Randalls Island – dove ha corso e parlato con se stesso –, del Queensboro Bridge, dell’East Village dove batte ancora il cuore di Via della Pace. Quando ha una sera libera, evita i ristoranti italiani – «mi scatta l’analisi» –, e preferisce il messicano o il coreano, magari nel Queens. E poi c’è la moto, i ponti, la città vista come un’opera d’arte in movimento. «Roma è la storia. New York è il futuro».

Infine, il Lazio Club, che non è solo calcio: da quando è nato, ha raccolto oltre 65 mila dollari da destinare in beneficenza. «Tutto quello che guadagniamo con il merchandising e gli eventi, lo doniamo. Per noi Via della Pace è casa. Niente di più».

E in effetti, ascoltandolo, lo capisci: non importa se il locale è aperto o chiuso, se c’è la folla o il silenzio, se c’è un incendio o una rinascita. Dove c’è Giovanni Bartocci, c’è sempre un pezzo d’Italia. E di casa.

Immagine di Francesco Caroli

Francesco Caroli

Francesco Caroli, nato a Taranto, ha iniziato a scrivere di musica e cultura per blog e testate online nel 2017. È autore per le riviste cartacee musicali L'Olifante e SMMAG! e caporedattore per IlNewyorkese. Nel 2023 ha pubblicato il saggio "Il mutamento delle subculture, dai teddy boy alla scena trap" per la casa editrice milanese Meltemi.

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