Andrea Prencipe, economista, studioso di organizzazione e innovazione, nonché ex rettore della Luiss, è stato ospite del podcast Ritratti, condotto da Claudio Brachino per ilNewyorkese.
Prencipe è da sempre un sostenitore dell’interdisciplinarietà e ha sempre mostrato, nonostante una formazione scientifica, una grande attenzione per le discipline umanistiche: «I miei studi sull’innovazione, così come l’esperienza da rettore, mi hanno convinto sempre di più della necessità di un approccio che sappia superare i confini disciplinari. Attenzione: questo non significa dimenticare le specializzazioni, che restano fondamentali per il progresso scientifico, tecnologico ed economico. Ma l’apporto umanistico è altrettanto essenziale. Quando ero prorettore, quasi dieci anni fa, introdussi alla Luiss il primo corso che metteva insieme management e intelligenza artificiale, in un’università di scienze sociali. All’epoca l’intelligenza artificiale non era ancora un tema di attualità, anzi, ci furono molte resistenze. Ma quell’intuizione ha portato oggi alla creazione di un dipartimento dedicato proprio all’intelligenza artificiale. In parallelo, ho introdotto insegnamenti obbligatori di area umanistica: letteratura italiana, storia della musica, filosofia generale, archeologia. Perché gli studi umanistici sviluppano la visione d’insieme, il pensiero critico, la capacità di interpretare la complessità. E non solo: studi di psicologia cognitiva dimostrano che aiutano anche a sviluppare empatia, una competenza fondamentale nel mondo del lavoro di oggi».
Per Prencipe l’introduzione degli studi umanistici nei percorsi formativi serve anche a mettere gli studenti in condizione di essere critici nei confronti dell’intelligenza artificiale: «Le racconto un’esperienza concreta: nel mio corso di progettazione organizzativa ho reintrodotto l’esame orale e carta e penna, ma anche un esame assistito dall’IA, con una metodologia strutturata. Gli studenti dovevano seguire istruzioni precise, motivare le loro scelte, confrontare le risposte di ChatGPT, Gemini, Copilot, e consegnare il log dell’interazione. Alla fine, quando ho chiesto quale fosse stato l’esame più difficile, tutti hanno risposto: quello con l’intelligenza artificiale. Perché li abbiamo obbligati a pensare, a non accettare passivamente. E questo è il vero punto dell’innovazione: non è tanto fare il prompt, ma saper inquadrare il problema».
Nel corso dell’intervista, l’ex rettore della Luis ha delineato una visione dell’innovazione che rifiuta ogni riduzionismo tecnico. «Innovazione è il cambiamento che genera valore» ha spiegato Prencipe, precisando che questo cambiamento può essere tecnologico, ma anche sociale, culturale o organizzativo. «Il valore, allo stesso modo, non è solo economico: può assumere molte forme diverse».
In passato si identificava l’innovazione con il cambiamento tecnologico, Prencipe sottolinea come oggi sappiamo che è in realtà soprattutto un fenomeno socio-antropologico. «Ogni rivoluzione industriale ha cambiato il nostro modo di essere, di fare, di organizzarci: pensiamo all’elettricità, alla macchina a vapore, a internet e oggi all’intelligenza artificiale. Ma attenzione: siamo noi a creare le tecnologie, e dobbiamo imparare ad adottarle, non ad adattarci passivamente. Mi viene in mente Gianni Rodari, che scrisse una fiaba bellissima, La macchina per fare i compiti. Un omino vendeva questa macchina non in cambio di denaro, ma chiedendo in cambio il cervello dei bambini. Una metafora potente: se abbandoniamo i nostri processi cognitivi, rischiamo di perdere il contatto con la realtà. Voliamo via, ma diventiamo anche prigionieri. Ecco perché serve un approccio umanistico al cambiamento tecnologico».
A tal proposito Prencipe condivide la posizione del filosofo Luciano Floridi, che chiede alla generazione nata nel mondo analogico e diventata digitale di “restare essere umani analogici”: «Nel prossimo saggio, che sto scrivendo con Massimo Sideri, sottolineiamo l’importanza di conservare quelli che Calvino chiamava “i tratti gelosamente umani”: attenzione, memoria, essenza, immaginazione, confini».
Infine, Prencipe ha riflettuto sulla necessità di riformare il sistema universitario italiano, prendendo esempio da quello americano, capace di differenziare missioni e percorsi: «Negli Stati Uniti ci sono community college, università di ricerca, università statali e private, ognuna con la propria missione. Questo permette di rispondere a mercati del lavoro diversi».
Infine un appello anche alle piccole e medie imprese: «Serve più coraggio nel reclutare laureati, dare spazio ai giovani formati all’estero, favorire passaggi generazionali intelligenti. Solo così si innova davvero il tessuto produttivo. E il Sud, che spesso viene sottovalutato, può sorprendere con modelli virtuosi».