Un anno dopo la sua ultima volta, Irene Maiorino è di nuovo in città. Le cose sono cambiate – come succede sempre a New York – e anche lei, nel frattempo, è cambiata. È un rientro che si porta addosso molte cose. A cominciare da Lila, il personaggio dell’Amica Geniale che le è rimasto dentro più di qualsiasi altro.
L’impatto è stato forte già appena atterrata. «Mi hanno preso con un pick-up all’aeroporto e mi sono molto emozionata. Attraversare la città, riconoscere dei palazzi che sono ancora lì… In una settimana New York cambia tutto, eppure quei palazzi resistono. Mi ha colpito». Poi sorride, parlando del momento in cui ha ricevuto quella che chiama una “frecciata di gioia”. Uno scatto che l’ha svegliata da un’“anestesia emotiva” – parola sua – dovuta a quello che succede fuori. «L’anestesia, a volte, è una forma di difesa. Quando ciò che accade nel mondo è così forte, il resto sembra perdere senso. E a quel punto ti proteggi, ti intorpidisci. Ma poi capita un momento – e l’Amica Geniale è stato proprio “quel” momento – che ti riattiva, ti risveglia».

«Lila continua a espandere riflessioni. Sul femminile, sulle comunità, su come guardare le cose. È ancora necessario, ma è anche bello».
«È stato un anno di transizione», racconta. Sapeva che sarebbe tornata a New York, ma non immaginava di farlo ancora «sulla scia dell’Amica Geniale». Una scia dice, che è un onore portarsi dietro: «È un cavallo di razza, e tutti i cavalli di razza si vedono sulla lunga distanza».
Poco prima aveva ricevuto una notizia che l’aveva resa felice: due candidature ai Nastri d’Argento. Una per la serie, e una per lei come miglior attrice protagonista. La conversazione scivola poi in maniera naturale su quel personaggio che l’ha portata fin qui. Non è la prima volta che le chiedono cosa le ha lasciato Lila. Ma stavolta c’è più tempo per ragionarci. «Me lo sono cucito addosso. L’ho studiata a lungo, ho tradotto, letto. Tre anni. Lei mi ha cambiata. In un certo senso le ho lasciato la mia giovinezza. Mi ha regalato un’adultità».
«Mi ha riposizionato rispetto a come stare nella vita. Mi ha fatto capire cosa conta davvero», spiega. E chiarisce che Lila le ha restituito un’immagine di donna che già desiderava essere. «Mi ha riconnesso a una parte istintiva che, crescendo, rischi di perdere. Io ho un carattere determinato, con un’etica del lavoro forte, e questa cosa non sempre viene compresa. A volte è proprio ostracizzata».

Maiorino racconta che prima de L’Amica Geniale si era accorta di come la sua personalità stesse venendo “addomesticata”. «Con Lila ho recuperato la parte selvaggia, quella graffiante. Quella meno compiacente. È un gioco molto serio, come quello dei bambini: loro ci credono per davvero». Quando le chiediamo se le era mai successo prima di immergersi così in un ruolo, risponde senza esitazione: «No, mai». Anche se il suo metodo è sempre stato immersivo. Racconta di come ha lavorato sul napoletano dell’epoca, evitando lo stereotipo sguaiato. «Il momento del provino è quello più interessante: sei da sola, esplori, crei. È la stanza dei giochi».
Poi ricorda quei mesi di provini, le attese, il silenzio. «Non sapevo se mi avrebbero richiamata, ma sentivo che c’era qualcosa. Non era uno di quei provini che fai e poi te ne dimentichi. Mi ha proprio cambiata. Se guardo le foto di quel periodo, vedo che sto solo adesso recuperando il mio sorriso, la mia solarità». Quando le chiediamo se, a posteriori, si sente felice di ciò che Lila le ha lasciato, non ha dubbi. «Non rigetto nulla. Anzi. Lila ha avuto una rivincita sulla vita, e da qualche parte ce l’ho avuta anch’io. Questo lavoro è bellissimo, ma dentro al sistema non è facile. Non è un’equazione. Ci sono tanti attori e attrici bravi che nessuno conosce. Questa è stata un’opportunità. Me la sono sudata, ed è per questo che sono anche grata a chi mi ha dato questa possibilità. È importante dirlo».
Aggiunge che quella consapevolezza le ha dato anche un senso di responsabilità. La responsabilità che ho sentito era verso il personaggio: restituire cinematograficamente l’immagine che i lettori già amavano. Non deluderli. Faccio un esercizio: se fossi una mia amica, mi direi “brava”. Ma quanto è difficile dirlo a se stessi?».
A un certo punto fa un’osservazione: «Spesso si pensa che siamo noi attori a dare qualcosa ai personaggi. Ma in realtà è il contrario».
Ci troviamo poi a parlare della realtà che la circonda, dei cambiamenti – politici e sociali – che ci sono stati. E del suo modo di starci dentro. «Sono molto empatica con quello che succede nel mondo. E ho imparato a relativizzare i miei successi, perché non riesco a godermi la felicità se chi mi circonda sta male. Sia nel piccolo, che nel grande».

Parliamo anche della sua terra. Della Campania. «La mia è una Campania atipica. Sono nata a Napoli, ma cresciuta a Cava de’ Tirreni. Una città con mare e montagna, molto poetica, malinconica, romantica». Racconta dei nonni, della seta di Positano, delle poesie in faldoni scoperti anni dopo. «Sono ricordi sensoriali, più che geografici». Quando le chiediamo quanto influenzino le sue radici, fa una distinzione: «Non ci penso in termini di sud o nord. Ma le cose che sono del sud ce le ho. La generosità, la veracità, il senso di comunità. E anche la joie de vivre. Risolvere le cose col buonumore».
Poi c’è la parte francese. «Mia nonna materna era parigina. Si chiamava Lina. Come Lila». La voce si abbassa un attimo, come a lasciar passare il brivido. «È come se rivivesse in me».
Più avanti, si parla del futuro. Con la consapevolezza di chi lo sta vivendo senza troppo programmarlo. «È un momento molto vivo, sto lavorando tanto, su diversi progetti, e questa è la sola cosa che decido. Per il resto non voglio decidere nulla. Il mio futuro, oggi, è fatto di presente».
Verso la fine si torna su un tono più serio, inevitabilmente politico. Irene dice di non sentirsi in accordo con ciò che sta accadendo in Italia, e nemmeno con quello che succede negli Stati Uniti. «Quello che sta accadendo in Palestina travalica tutto. Quando ero piccola e leggevo dell’Olocausto, chiedevo a mia madre: ma il mondo dov’era? Adesso mi chiedo “Mondo, dove siamo?”. Com’è possibile che ci sia questa indifferenza e che la storia si ripeta e non ci serva a diventare esseri umani migliori?».
E mentre lo dice, non alza i toni. Non serve. L’eco è già lì.