Cristiano Cosa: “Cosa sono io” tra filosofia e rock

Il cantautore pugliese racconta il nuovo album, un percorso di ricerca interiore tra filosofia, alternative rock e introspezione esistenziale

Due anni e mezzo di lavoro, un confronto costante con i propri limiti e la volontà di tradurre la vita in musica. Cristiano Cosa presenta Cosa sono io, un disco che nasce dall’incontro tra riflessione personale e riferimenti filosofici, con influenze che spaziano dai Bluvertigo a Heidegger. Un’opera che segna una nuova consapevolezza e che invita a guardarsi dentro per non smarrire la propria autenticità.

Cosa ti ha ispirato a scrivere Cosa sono io” e perché questo titolo?

Ho trascorso l’ultimo periodo della mia vita a chiedermi esattamente il senso dell’essere. Iniziando a rovistare tra gli scaffali dei miei ricordi e aprendomi a ciò che non conoscevo, ho bussato alla porta del padre dell’esistenzialismo, il pensatore Martin Heidegger, il quale con la sua opera ”Essere e Tempo” del 1927 si poneva le mie stesse domande a riguardo. Ho cercato di creare così una mappa concettuale musicale al fine di approfondire la questione. Il titolo poi è un gioco di parole con il mio cognome, ma allo stesso tempo può essere affermazione o domanda irrisolta. Una certezza in tutto questo è la seguente: le canzoni sono tutte nate da un sentimento di riflessione. 

La copertina del nuovo album “Cosa Sono Io”

Qual è stato il processo creativo?

Dentro questo lavoro ci sono due anni e mezzo di ricerca spasmodica. Insieme a Francesco Gaudio, insostituibile figura nel progetto musicale e spalla encomiabile in ogni fase della produzione dell’album, ho vissuto un viaggio di cambiamento interiore che mi ha portato ad accogliere una nuova versione di me. Questo percorso mi ha permesso di sintonizzarmi con la parte più viscerale della mia anima: solo così avrei potuto concepire qualcosa di riconoscibile. 

Se dovessi scegliere un brano dell’album che più ti rappresenta quale sceglieresti e perché?

Mi sono già posto questa domanda e ne ho sempre dato un’univoca risposta: che ci volete fare, sono un Marzulliano incallito (ride, n.d.r.): “Per Non Morire” potrebbe senza dubbio sventolare la bandiera di quest’album: c’è tutta la rabbia e la forsennata determinazione a cercare di tradurre la mia vita in musica per uno scopo preciso: raggiungere l’immortalità. 

Ci sono generi o influenze musicali particolari che hanno avuto un ruolo nella definizione delle tracce?

Nel corso di tutto questo periodo, ho intercettato svariate influenze che sono state assorbite così tanto da non ricordarle nitidamente. Sicuramente a livello musicale, l’alternative rock targato Bluvertigo e Verdena e l’indie dei Kings of Convenience hanno dato una sterzata e uno stimolo in più ai miei processi; sul piano letterario/filosofico, il concetto del fanciullino di Pascoli unito all’esistenzialismo del già citato Heidegger hanno sancito una maggiore consapevolezza di ciò a cui stavo dedicando l’intero lavoro – la ricerca dell’identità. 

Quanto c’è di autobiografico e quanto di immaginifico o simbolico?

Forse è il caso di apporre una crasi nella risposta a questa interessante domanda: il mio intento è stato proprio quello di comporre delle canzoni autobiografiche calate talvolta in una dimensione immaginifico o simbolica. È il caso di Girandola, una traccia che racchiude il concetto di tempo in un oggetto di base riconducibile all’infanzia, o Cieli di Carta, la descrizione di un immaginario tetro e di uno scenario infernale con gli occhi di un bambino ignaro ed impotente.

Che ruolo ha per te la scrittura di testi a livello personale, oltreché professionale?

La scrittura è un’amabile compagna, allevia la noia e combatte i malesseri dell’esistenza, li rende più utili. Durante tutta la fase dell’album, ho sempre continuato a scrivere in tante forme diverse, dai sonetti alle poesie, dalle novelle ai soliloqui. Questo modus operandi ha solo aggiunto una valigia sempre più capiente al mio viaggio. Riguardo i testi delle canzoni, devo rivelare che le parole mi assillano e mi fanno sospirare allo stesso tempo. Ma adoro giocarci, come per esempio in Come Mi Viene in cui scrivo e canto: “Le gruccette dell’armadio i miei interrogativi” oppure “Sono a un passo da me, e non mi trovo mai” frase contenuta ne La Vita Cos’è.

Come definiresti il sound dell’album rispetto ai tuoi lavori precedenti?

Rispetto ai miei lavori precedenti, credo di aver aggiunto un sound maturo e autentico. Per questo devo ringraziare sempre Francesco Gaudio e l’impeccabile lavoro della LuckyHorn Entertainment, nelle persone di Davide Ippolito e di Simone D’Andria. Quest’ultimo, in particolare, per me è una figura importante in ogni momento.  Mi assicura grande libertà creativa e sostegno personale artistico. So di essere molto fortunato. Quello che posso fare è ricambiare prodigandomi al massimo. 

Nel corso della tua carriera hai collaborato con molti artisti. C’è qualcuno in particolare che ha avuto un impatto determinante sulla tua musica, che l’ha arricchita?

Circa dieci anni fa, conobbi Roberto Angelini, musicista dal gusto sopraffino e dalla sconfinata esperienza. L’incontro con lui mi ha sicuramente segnato ed è per questo che ho fatto il possibile affinché prendesse parte al mio nuovo disco. Posso affermare con certezza che Bob sia stato la ciliegina sulla torta e abbia impreziosito il sound di questo album. 

Come pensi di essere cambiato dall’inizio fino a “Cosa sono io”

Nella fase di gestazione dell’album, più volte ho riflettuto su questo: penso di aver vissuto innumerevoli momenti e fasi artistiche, ma ancora non avevo trovato un’identità vera e propria. Avevo sinceramente bisogno di un solido team che mi aiutasse e che mi osservasse da fuori, perché confesso di essere così cervellotico e pieno di idee da non riuscire sempre a percorrerne una, risultando esageratamente dispersivo. Dopo questo album, posso dire di avere una consapevolezza diversa; è merito della LuckyHorn Entertainment per aver tracciato un percorso professionale di livello. 

Cosa vuoi comunicare al pubblico e cosa speri sentano ascoltandolo?

Voglio comunicare l’importanza di guardarsi dentro, di cercare una propria unicità, di stare lontani dall’omologazione e di essere autentici, sinceri, protendendosi ad uno scambio e non uno scontro. Fino a prova contraria siamo noi artefici del nostro destino. Credo che per vivere consapevolmente una vita dignitosa di essere chiamata tale, bisogna cercarsi e non aver paura di approfondire il significato di noi stessi. 

Come sarà tornare a New York?

New York è il palcoscenico dei sogni. Nel 2023 ho avuto l’opportunità di cantare davanti a degli italoamericani commossi. È un’immagine indelebile nella mia memoria. Tornare in una città immensa e portare la mia musica è un orgoglio che voglio continuare a meritare. La musica d’altronde ha la potenza di portarti dappertutto anche stando fermo. Che dire… New York, arrivo!

Qual è il tuo rapporto con New York, cosa ti lega a questa città?

Ciò che mi lega a New York è il desiderio di non accontentarsi mai, di essere in continua evoluzione, mai sazi di conoscersi e migliorare. Di sicuro trascorrerei un periodo immersivo per comprenderne appieno la propria essenza, ma musicalmente per me rappresenta l’innovazione e la modernità: tutto ciò che esiste passa prima da New York! 

A chi dedichi il tuo ultimo album e perché?

L’ho scritto anche dietro la copertina del disco: la mia dedica personale va a mia sorella Angela, che già da adolescente mi spingeva ad ascoltare tanta musica diversa e sconosciuta. L’augurio migliore che posso farle è di continuare a cercare e ad avvicinarsi alla sua essenza. Per me è questa la strada che porta alla serenità; l’unica strada vicina alla felicità.

Immagine di Cecilia Gaudenzi

Cecilia Gaudenzi

Giornalista professionista e storyteller. È nata a Roma nel 1991 “sotto il segno dei pesci”, dove si è laureata con lode in Scienze Politiche, all’Università di Roma Tre e dove vive stabilmente. Musica, cinema, letteratura, politica, serie tv, podcast, reportage e terzo settore. Il vizio di scrivere, di tutto e su tutto ce l’ha fin da bambina. Le piace conoscere, capire, raccontare e soprattutto, fare domande. Crede nello scambio di idee e nella contaminazione. Ha girato l'Africa per dare voce all'impegno di donne e uomini che dedicano la loro vita agli altri. La sua parola preferita è resilienza.

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