Insignita del titolo di “Cavaliere dell’Ordine della Stella d’Italia” dal Presidente Sergio Mattarella, Lia Adelfi è presidente e cuore pulsante della Dante Alighieri Society of Michigan, che promuove la lingua e la cultura italiane sul territorio.
In stretta sinergia con il Consolato d’Italia a Detroit, la Società si fa promotrice di una nuova italianità: con iniziative che spaziano dalla valorizzazione della lingua italiana al restauro di monumenti storici, lavora quotidianamente per superare stereotipi radicati e mostrare un’Italia moderna e dinamica.
Questa intervista è un viaggio tra cultura, identità e integrazione italiane a Detroit, raccontato dalla voce di una delle protagoniste.
Qual è il core business della Dante Alighieri Michigan?
«Il core business è la promozione della cultura e della lingua italiana, seguendo le linee che la nostra casa madre ci chiede di attuare, e la valorizzazione della nostra cultura all’estero, sostenendo e collaborando con le istituzioni locali. Nel nostro caso, siamo in stretta collaborazione con il Consolato d’Italia a Detroit».
A proposito di questa stretta collaborazione, la Console Allegra Baistrocchi ci ha detto che l’ottanta per cento degli eventi che organizza il Consolato avviene in compartecipazione con la Dante Michigan. Insomma, siete legati a doppio filo.
«Con il Consolato noi siamo legati a doppio filo da sempre, solo che negli ultimi tre anni c’è una collaborazione più profonda e, se vogliamo, più democratica: è visibile, si percepisce, è vibrante. Ovviamente dipende molto dal Console in carica, dalla sua partecipazione, dal tempo che dedica non solo alla parte tecnica e amministrativa, ma anche, e soprattutto, alla promozione di un’Italia diversa. Per ottenere risultati migliori abbiamo bisogno di una collaborazione aperta e trasparente, come quella che abbiamo vissuto negli ultimi anni. Tra l’altro, l’anno scorso è stata firmata una nuova Convenzione che regola la relazione tra la Farnesina e la Società Dante Alighieri per le iniziative comuni nel settore della promozione e diffusione della cultura e della lingua italiane nel mondo. Il testo della nuova Convenzione prevede anche incontri periodici di verifica delle attività svolte e di programmazione di possibili progetti comuni di promozione linguistica e culturale. Questo accordo, insieme alla missione primaria della Società, è il nostro volano».
Dal suo punto di vista, quindi da un punto di vista culturale, come procede l’integrazione della comunità italiana a Detroit?
«Esiste una nuova italianità che cerca nuove avventure e ha prospettive diverse rispetto a quelle degli immigrati giunti qui tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento. Abbiamo dunque due esigenze differenti dal punto di vista culturale e dello sviluppo della comunità: quelle degli italoamericani e quelle degli italiani di recente immigrazione. Concordo con la Console Baistrocchi sul fatto che dobbiamo assolutamente coinvolgere questa nuova italianità per reintegrare anche l’italoamericano che, per ragioni storiche, ha dovuto nascondersi e reprimere la propria identità. Alcuni problemi legati a questioni razziali hanno recentemente riportato a galla queste dinamiche. Noi vogliamo promuovere questa nuova italianità e desideriamo che il messaggio giunga anche in Italia, perché è fondamentale. Qui proponiamo davvero un’Italia diversa: attuale, produttiva, non quella stereotipata degli “spaghetti e mandolino”. Credo che questo faccia bene anche alla comunità italoamericana di lunga data, che si sente diversa dagli italiani di più recente immigrazione. Dobbiamo essere onesti e riconoscere questa diversità. Una diversità oggettiva è data anche dalla lingua. Scherzando, a volte parliamo di “Italian-English”: è ovvio che bisogna considerare questa caratteristica. L’integrazione è quella che è, c’è una sorta di “confusione culturale”. È come un cappuccino: c’è il latte e c’è il caffè. Credo sia simpatico e naturale, oggi, ascoltare un italoamericano di vecchia generazione parlare con termini in inglese. Per loro è stato molto difficile integrarsi culturalmente in un periodo storico in cui era problematico, se non pericoloso, parlare italiano o addirittura il proprio dialetto. È chiaro dunque che questa integrazione sia stata complessa: si parlava la lingua d’origine solo in casa. Oggi, invece, vogliamo promuovere la lingua italiana perché siamo fieri di essere italiani. Vogliamo valorizzare la nostra lingua, che è musicale e ricca di cultura. Come dice la Dante nel suo spot per l’84° Congresso, svoltosi a Roma: “L’italiano, luce nel mondo”. È una lingua bellissima e noi cerchiamo assolutamente di promuoverla al meglio, tra le vecchie generazioni, per i nostri studenti e per gli amanti del Bel Paese».
A proposito di Dante: uno degli ultimi eventi che avete promosso e organizzato insieme al Consolato è stato il restauro di una statua di Dante a Detroit.
«Sì, il restauro della statua di Dante Alighieri a Belle Isle è stato uno dei momenti più interessanti ed emozionanti per me. Un’emozione che parte da lontano. Quando sono arrivata negli Stati Uniti, nel 2003, camminando su Jefferson Avenue a Detroit, mi sono imbattuta nella statua di Cristoforo Colombo, ne rimasi sorpresa. Com’è noto, ultimamente, a causa delle questioni legate ai nativi americani, questa statua è stata rimossa e si trova altrove, non esposta al pubblico. Nel 2008, il Consolato ci ha proposto di organizzare un evento per la celebrazione di Dante a Belle Isle, e ci siamo domandati perché proprio lì. Ci fu risposto che a Belle Isle c’era un busto di Dante Alighieri. Devo dire che noi della Dante del Michigan siamo rimasti sorpresi perché non lo sapevamo, e quindi siamo andati a vederlo: un monumento eretto nel 1927 dopo anni di difficoltà, tra raccolta fondi, permessi e scelta del busto. Da quel momento, ogni anno organizziamo una celebrazione a Belle Isle, davanti a quel monumento, per onorare il Sommo Poeta. Quattro anni fa mi sono resa conto che era necessario un restauro. Dopo i fatti che avevano portato alla rimozione della statua di Colombo, ho pensato che se avessimo perso anche il monumento di Dante, avremmo rischiato di perdere la “identità italiana” sul territorio. Ho ritenuto doveroso restaurare questo monumento. Il piedistallo stava cadendo a pezzi, ormai deteriorato dal gelo e dal ghiaccio. Le componenti del monumento, busto, piedistallo e base, prodotte in Italia cent’anni fa, erano in marmo di Carrara e travertino. Ho contattato alcune aziende e, fortunatamente, ne ho trovata una con un secolo di esperienza nel restauro di monumenti. Abbiamo iniziato subito a raccogliere fondi nella comunità, poi ci siamo dovuti fermare a causa del Covid-19. Circa due anni fa, parlandone con la Console Allegra Baistrocchi, abbiamo deciso di inserire il restauro del monumento nel progetto “LoveITDetroit”. È stato un modo anche per restituire qualcosa alla città di Detroit: la nostra condivisione di ciò che la città offre alla comunità italiana, perché qui viviamo e produciamo, anche dal punto di vista culturale. Ci siamo impegnate a fondo e il progetto di restauro è stato così inserito nel contesto più ampio di “LoveITDetroit”, permettendo di destinare fondi anche a questa iniziativa. Inoltre, abbiamo chiesto alla sede centrale della Dante Alighieri a Roma un contributo attraverso il “Bando Cultura”, perché anche l’arte è cultura, tanto più se rappresenta un simbolo dell’italianità. Per coprire il fabbisogno del budget complessivo, la Dante Alighieri del Michigan ha contribuito con i propri fondi di riserva. In questo modo siamo riusciti a finanziare il progetto, restituendo qualcosa sia a Detroit sia alla comunità italiana qui residente, onorando anche i connazionali di cento anni fa che, nonostante le difficoltà, erano riusciti a erigere una statua a Dante Alighieri e una a Cristoforo Colombo. Per tutti noi è stato davvero un momento molto emozionante».
In questo momento storico vede un cambiamento rispetto alla percezione degli italiani a Detroit?
«La percezione degli italiani è stata inizialmente influenzata dall’immagine trasmessa dagli italoamericani, i primi italiani arrivati qui. Si tratta di un’immagine storica legata a un’Italia povera, che ha inevitabilmente originato certi stereotipi, come l’associazione con “pizza e mandolino”, nati anche dall’isolamento informativo del passato. Questa rappresentazione delle radici italiane è dipesa molto da loro. Il problema è che per chi è arrivato dopo è stato difficile proporre un’Italia diversa. Continuare a perpetuare lo stereotipo della pizza, del mandolino, delle cene conviviali e delle cantate era, per così dire, troppo comodo, ma era anche ciò che rappresentava simbolicamente “casa loro”. La Dante Alighieri veniva percepita come un semplice club locale, piuttosto che come un’organizzazione mondiale dedicata alla promozione della lingua e della cultura italiane all’estero. Il cambiamento è iniziato nel 2008, quando abbiamo deciso di ribaltare questa mentalità. Prima di tutto è stato necessario cambiare la mentalità degli stessi italoamericani, perché molti erano ancora legati a un’immagine antiquata dell’Italia. Ricordo un episodio, quando sono arrivata a Detroit, che mi ha colpito molto: parlando con un immigrato di prima generazione, questi mi chiedeva se avessi lo scaldabagno in casa. Mi sono sentita a disagio, ma questo dimostra quanto mancassero informazioni o quanto fosse scarso il contatto con l’Italia reale. Oggi siamo fortunati: abbiamo media, giornali, computer. Un tempo queste risorse non erano disponibili, ed era davvero difficile sradicare certi stereotipi. Abbiamo lavorato giorno dopo giorno per cambiare questa percezione, organizzando eventi su temi diversi: cultura, lingua, musica, tecnologia. Volevamo mostrare l’Italia contemporanea, che faceva fatica a emergere in mezzo a quella vecchia immagine radicata nella comunità. Gli eventi che organizziamo con la Console stanno ottenendo un successo straordinario. Credo che stiamo realmente cambiando lo status quo. Possiamo già dire di aver fatto grandi progressi.Concludo con la speranza che le generazioni future, chiamate a proseguire questo percorso, lo facciano rispettando i valori che i nostri predecessori ci hanno trasmesso. Questi valori, infatti, rappresentano le nostre radici e ricordano che siamo il prodotto vivo e pulsante del nostro passato».