Se la piazza parla

Ogni piazza ha un suo perché che va indagato. E forse ora tutte le persone che hanno manifestato negli ultimi tempi per la popolazione palestinese meritano una ragione, una profondità, una motivazione che non può essere risolta solo nello schema ideologico o negli errori di alcuni gruppi più o meno identificati o identificabili. Vediamo invece il perché di tutti gli altri. Certo, se dal gruppo dei giovani palestinesi di Bologna esce fuori una scritta “viva il 7 ottobre” (la data in cui nel 2023 ci fu il raid sanguinario di Hamas in Israele) non possiamo che sdegnarci e condannare, come del resto ha fatto il sindaco della città, Lepore, che pure è di un partito, il Pd, molto vicino a queste manifestazioni, alla missione della Flotilla, alle ragioni di un popolo, umanitarie e politiche.

Togliendo gli eccessi, in quello che sta accadendo c’è l’inizio di un movimento di massa che va letto. Venerdì a Milano il lungo corteo ProPal è sfilato sotto casa mia: sono sceso ai bordi del flusso umano e ho guardato da cronista le facce. Tantissimi giovani, tantissimi studenti, tantissime persone normali, qualche arnese storico della sinistra engagé, ma anche gruppi di persone tenute insieme da cosa? Forse dall’idea che anche in una società veloce e superficiale come la nostra, lo scorrere delle immagini ha un valore democratico, ovvero che pesa in una democrazia.

Noi possiamo vedere le immagini. E valutarle, pensarle, capirle, commentarle. Tutto quello che abbiamo visto a Gaza negli ultimi mesi ci parla di un orrore che va al di là di qualsiasi risposta razionale a un atto terroristico e al dovere etico di recuperare e salvare gli ostaggi nelle mani di Hamas. C’è stato un di più che ormai ha inciso la coscienza occidentale, le opinioni pubbliche delle democrazie occidentali.

E questo lo voglio dire bene: non vuol dire fomentare nessun sentimento o atteggiamento antisemita. Sbaglia questo governo di Israele, non tutto il popolo israeliano. La storia complessiva di un’alleanza con Israele rimane, ma la storia non impedisce le critiche, anche dire e mantenere un atteggiamento severo da parte delle nostre varie istituzioni.

Ma al popolo che scende in strada non dobbiamo spiegare il realismo della diplomazia o le regole della politica estera. Quel sentimento di difesa della gente ammazzata o fatta soffrire senza colpe ha messo insieme le persone, non per forza di cose tutte uguali ideologicamente. È questo il tema anche dei sondaggi, per cui anche gli elettori del centrodestra la pensano grosso modo come gli elettori dell’altra parte. I partiti non spiegano tutto.

Può accadere anche nella nostra epoca poco identitaria che qualcosa accenda una spia, una reazione emotiva, una partecipazione collettiva. Vuol dire che la realtà ha ancora un peso nell’epoca dei social e che non tutto scorre in modo obsoleto verso un domani con altre cose obsolete. Vuol dire forse che quello che noi chiamavamo impegno può essere riscoperto.

Insomma, alla fine siamo ancora vivi. Il sonno della ragione è rimandato.

Immagine di Claudio Brachino

Claudio Brachino

Giornalista, saggista ed editorialista italiano. Laureato in Lettere, passione per il teatro, ha scritto con De Filippo e Michalkov. Poi 32 anni in Fininvest e Mediaset, dove è stato vicedirettore ed anchor di Studio aperto, due volte direttore di Videonews, la fabbrica dei format, direttore di Sport Mediaset e di Radio Montecarlo news. Inoltre, ha diretto per due anni il Settimanale, magazine cartaceo e web sulle Pmi, ha scritto per Il Tempo e Il Giornale, ora è editorialista del Multimediale di Italpress, opinionista tv per Rai e La7 e direttore editoriale di Good Morning Italy. Da poco ha firmato una collaborazione per lo sport del circuito Netweek.

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