Per le donne

Vorrei che il mio compleanno fosse tutti i giorni dell’anno tranne il giorno stesso del compleanno. È Alice nel Paese delle Meraviglie (Lewis Carroll), ma mi è sempre piaciuta questa provocazione anche per altri campi. Allora, mutatis mutandis, mi piace trasportare la metafora nel campo della sociologia e della politica parlando della giornata contro la violenza sulle donne.

Insomma, bisognerebbe non solo aprire la discussione e la sensibilità in una ricorrenza — che è pure importante ed è stata indetta dall’ONU nel 1999 — ma fare della giornata su questi temi tutte le giornate dell’anno.

I numeri mi interessano, certo, ma di più mi interessa il lato culturale della questione: che è anche metodologica e che deve tenere insieme l’aspetto legale, quello economico e quello antropologico. Ma poi anche quello mediatico, quello politico e delle norme, quello pedagogico e della scuola e delle famiglie, e quello dei modelli collettivi e dunque di Internet.

Negli ultimi quattro anni, in Italia, le vittime di femminicidio inteso come violenza di genere (ti ammazzo in quanto donna) sono circa 600: quindi circa 150 all’anno di media, ed è una media che purtroppo anche il 2025 si avvia a rispettare. Poi l’Istat ci dice quante sono le donne che hanno subito almeno una volta violenza nella vita: sono 6 milioni e 400 mila, tra i 16 e i 75 anni.

Le analisi qualitative ci dicono che aumentano le giovanissime vittime di violenza (compreso il revenge porn), che i delitti sono in gran parte di prossimità — partner, famiglia, amici — e che troppe donne in Italia non sono ancora indipendenti economicamente. Sono andato a un convegno due anni fa con un titolo illuminante: la dipendenza economica come prima via della violenza.

Insomma, c’è da lavorare molto. E molto, però, già si è fatto e si sta facendo. Le leggi sono più stringenti: Schlein e Meloni, governo e opposizione, si stringono la mano su un testo che definisce l’interpretazione di ciò che è stupro e ciò che non lo è. La volontà suprema della soggettività femminile — il cosiddetto “consenso pieno” — viene modernamente riconosciuta come un limite invalicabile.

E poi i media sono in primo piano: saremo pure un Paese ossessionato dalla cronaca nera, ma di riffa o di raffa dopo dieci talk show non si potrà fare finta di niente. Anche dall’imbuto dell’Auditel finisce nella bottiglia un po’ di conoscenza.

Si litiga ancora sull’educazione affettiva a scuola: qualcuno vuole mettere e qualcuno vuole togliere il termine “sessuale”. Ma bisogna trovare un accordo, perché il viaggio comincia da lì, nella formazione dei giovani.

Sentiremo parlare ancora molto in queste ore di patriarcato. A me sembra uno schema vecchio, patriarcale appunto. Trovo più interessante ciò che dicono gli psicoanalisti (di sinistra): forse la nostra è una società non con “troppo padre”, ma con troppo poco padre. A forza di non capire i “no”, si prende un coltello perché qualcuno ti rifiuta e vuole la sua vita.

Ridiamo agli uomini (ai maschi) il potere curativo del Logos: la parola che conosce, che rispetta e che ci definisce membri maturi di una democrazia.

Immagine di Claudio Brachino

Claudio Brachino

Giornalista, saggista ed editorialista italiano. Laureato in Lettere, passione per il teatro, ha scritto con De Filippo e Michalkov. Poi 32 anni in Fininvest e Mediaset, dove è stato vicedirettore ed anchor di Studio aperto, due volte direttore di Videonews, la fabbrica dei format, direttore di Sport Mediaset e di Radio Montecarlo news. Inoltre, ha diretto per due anni il Settimanale, magazine cartaceo e web sulle Pmi, ha scritto per Il Tempo e Il Giornale, ora è editorialista del Multimediale di Italpress, opinionista tv per Rai e La7 e direttore editoriale di Good Morning Italy. Da poco ha firmato una collaborazione per lo sport del circuito Netweek.

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