L’era di Trump

Il tema della settimana è sicuramente l’Inauguration Day di Trump. Donald Trump si è insediato ufficialmente alla Casa Bianca e non è più Presidente eletto, ma vero Presidente degli Stati Uniti per la seconda volta dopo aver perso nel 2020, non senza polemiche, non senza drammi, la sfida con Biden.

Ne hanno parlato anche ovviamente i giornali italiani, le dirette televisive ci hanno informato sul contesto, diremmo tutto il “linguaggio della Corte”, visto che era all’interno, non all’esterno, per motivi meteorologici, dato che fa freddo in Italia, e fa freddo molto, e anche di più, in America. Chi c’era e chi non c’era, i vestiti, il linguaggio del corpo, i grandi simboli, i simboli del potere, i simboli della ricchezza economica o quant’altro.

Poi c’è stato il discorso programmatico, cioè uno che parla, in questo caso è Presidente degli Stati Uniti (non uno che sta qui dietro l’angolo) che racconta in sintesi la sua idea: inizia l’Età dell’Oro, America First, cosa cambia nella politica interna, cosa cambia in politica estera, cosa cambia in economia, cosa cambia rispetto all’ambiente, all’energia, ai diritti. Un vero e proprio programma: Trump ha spiegato anche cosa cambia rispetto agli immigrati. Una visione del mondo più che repubblicana, direi conservatrice, però con l’America al centro. Insomma, le reazioni sono tantissime.

Faccio notare che per la prima volta erano presenti i capi delle big tech più importanti del mondo, non solo Elon Musk (che poi ha fatto discutere per il saluto romano che forse è frutto di una forma di odismo, forse un’ennesima provocazione) ma c’era anche Jeff Bezos, c’era Zuckerberg: quindi i grandi capi, che sono ricchissimi ovviamente, ma sono anche molto potenti, che possiedono le tecnologie più moderne, quelle della comunicazione. Quelle che un grande filosofo come Luciano Froli richiama le ICT, Information Communication Technology, cioè le aziende più importanti del mondo della contemporaneità, sostanzialmente erano lì, ma non per fare il bacio della pantofola al potere.

Il rapporto col potere queste aziende ce l’hanno sempre avuto, non inizia con Trump, come dice una parte del mainstream italiano: ce l’hanno sempre avuto questo rapporto col potere, anche col potere democratico ovviamente, non solo repubblicano e non solo con Trump, ma certo questa volta, per la prima volta, questi signori o i loro uomini avranno dei ruoli nella squadra governativa di Trump. Un grande cambiamento mondiale che coinvolgerà anche l’Europa, che coinvolgerà anche l’Italia. A proposito di Italia, Giorgia Meloni, la nostra premier, era l’unica leader europea presente. Qualcuno dice che questo fosse un male, (come ha sostenuto Slank, che ha detto alla Meloni, “chiediti perché eri l’unica presente”), molti invece dicono, a cominciare da lei stessa e da chi la sostiene, che era un bene. Lo dico anche io, perché noi italiani fatichiamo a capire che quello era il Presidente del Consiglio, al maschile come vuole lei essere chiamata, lo Stato, la nostra Nazione, non la leader di Fratelli d’Italia che combatte tutti i giorni con quelli del campo largo presunto, del PD o 5 Stelle, Landini o Alleanza Verdi e Sinistra. Quindi era l’Italia e per l’Italia essere presente lì, al grande evento politico della settimana, che apre una nuova era mondiale della politica, non può che essere un bene.

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Claudio Brachino

Giornalista, saggista ed editorialista italiano. Laureato in Lettere, passione per il teatro, ha scritto con De Filippo e Michalkov. Poi 32 anni in Fininvest e Mediaset, dove è stato vicedirettore ed anchor di Studio aperto , 2 volte direttore di Videonews, la fabbrica dei format, direttore di Sport Mediaset e di Radio Montecarlo news. Inoltre, ha diretto per due anni il Settimanale, magazine cartaceo e web sulle Pmi, ha scritto per il Tempo e il Giornale, ora è editorialista del Multimediale di Italpress, opinionista tv per Rai e La7 e direttore editoriale di Good Morning Italy. Da poco ha firmato una collaborazione per lo sport del circuito Netweek.

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