L’accoglienza che deve accogliere
Un centro d'accoglienza in Albania, parte degli accordi tra l'Italia ed il Paese balcanico

L’accoglienza che deve accogliere

Accoglienza, bellissima parola, e il capo dello Stato fa bene a ricordare che è una sorta di dovere previsto dalla natura stessa della carta costituzionale. Mattarella fa il suo lavoro, è la bussola valoriale della Repubblica. Ma quando anche questa parola si scinde nella semantica sottostante nascono i problemi.

Governare la Res publica, ovvero la cosa pubblica, è più complesso quando si passa dall’idealismo alla concretezza dei numeri e dei conflitti. Quando si parla di immigrazione la parola accoglienza si cala in tanti colori diversi. Quelli ideologici, della sinistra e cattolici, per cui deve essere e basta, come una sorta di assoluto. E poi c’è la visione xenofoba o paranoica dei confini – o semplicemente pragmatica. Nella prassi, appunto, chi amministra la cosa pubblica sa bene che che se in un sistema, la società che accoglie, arrivano per i motivi più svariati più persone di quelle che si possono davvero accogliere, si piomba nel caos. Del resto, la vera semantica di accoglienza è integrare una persona nel sistema, a livello lavorativo e culturale. Invece, assistiamo a decine di migliaia di individui che sono stati accolti tecnicamente, ma non nel senso vero della parola.

I teorici della purezza della parola e della Carta se ne fregano delle conseguenze, ma andare a parlare già solo con i sindaci per sentire i problemi che hanno con interi pezzi del loro territorio fuori controllo può essere scioccante. In questo contesto, parlare dei migranti portati in un centro di accoglienza de-localizzato (parola ben nota a livello industriale) come se fossero de-portati è scorretto. La situazione è complessa e il rispetto umanitario va monitorato, ma in tutta Europa governati di destra e di sinistra guardano con curiosità a questo esperimento meloniano. Se funziona si apre un metodo. Meno persone saranno invogliate a venire in modo indiscriminato in un Paese e molte persone, se è giusto, saranno rimpatriate. La ricetta magica in un tema storico così imprendibile non c’è, però l’importante è non perdersi nella presunta purezza delle cose. Del resto, la purezza porta alla morte, diceva un signore di nome Sartre.

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Claudio Brachino

Giornalista, saggista ed editorialista italiano. Laureato in Lettere, passione per il teatro, ha scritto con De Filippo e Michalkov. Poi 32 anni in Fininvest e Mediaset, dove è stato vicedirettore ed anchor di Studio aperto , 2 volte direttore di Videonews, la fabbrica dei format, direttore di Sport Mediaset e di Radio Montecarlo news. Inoltre, ha diretto per due anni il Settimanale, magazine cartaceo e web sulle Pmi, ha scritto per il Tempo e il Giornale, ora è editorialista del Multimediale di Italpress, opinionista tv per Rai e La7 e direttore editoriale di Good Morning Italy. Da poco ha firmato una collaborazione per lo sport del circuito Netweek.

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