La stretta di mano con il Papa, il lungo e sincero abbraccio con Giorgia Meloni. Il presidente ucraino Zelensky conclude il suo tour, diplomatico e drammatico, proprio a Roma e mette insieme, in forma di appello e di speranza, due figure diverse ma su cui conta per uscire, come si dice, dall’angolo della morsa geopolitica in cui è finito. Il leader spirituale dell’Occidente cattolico, Leone XIV, americano ma con una sua visione autonoma in politica estera, rinnova il suo impegno per una pace giusta e per il coinvolgimento dell’Europa. Il premier italiano promette una mediazione delicata e difficile, ma invita Zelensky a un realismo di fatto e a non allungare i tempi per una tregua prima e per una pace poi.
Certo, quell’abbraccio è per Giorgia Meloni un successo simbolico internazionale. Ha sempre mantenuto la linea dell’aiuto militare a Kiev, in accordo con i partner europei e con la Nato. Ha corretto le parole dell’ammiraglio Cavo Dragone, attuale presidente del Comitato militare dell’Alleanza Atlantica e in precedenza capo di Stato Maggiore della Difesa italiana, su un’Europa troppo passiva e che, in prospettiva, deve diventare più aggressiva in tema di sicurezza. Ha gestito le diverse sensibilità sul mandare armi all’Ucraina nella sua maggioranza (simmetriche, per certi versi, alle diverse posizioni che ci sono nel cosiddetto campo progressista) e soprattutto ha gestito i malumori di un’opinione pubblica, quella del nostro Paese, che si è impigrita su una pace presunta perenne, su un mondo in equilibrio perfetto che non cambia e che invece sta cambiando in modo convulso e spesso sconvolgente.
Sta portando a casa una legge di bilancio rigorosa e trasparente, dove i cittadini devono capire che attrezzarsi per un nuovo futuro meno dolce e salottiero non vuol dire togliere soldi a sanità e famiglia. Quel “mi fido di lei”, detto da uno Zelensky stremato dalla guerra, dagli scandali interni e da un piano di pace che per forza di cose (compresa la forza militare sul campo) non sarà quello che sognava il suo popolo, altrettanto stremato, insomma quell’atto di fiducia esplicito e mediatico sul nostro premier la dice lunga su come l’Italia sia tornata autorevole e “affidabile” nel mondo.
Poi, in concreto, cosa potrà fare Giorgia? Certo parlerà con Trump, certo farà da ponte per un’Europa che comunque, al di là delle narrative e delle provocazioni verbali, rimane una protagonista importante. Lo farà con onestà e serietà: ai giganti della Terra si può e si deve spiegare. Poi la realtà è quella che i giornalisti come me, che non cantano nel mainstream del politically correct tutti i giorni, dicono da tempo sulla base dei dati e delle analisi fatte dagli esperti e da chi è sul campo.
L’Ucraina dovrà fare concessioni dolorose, ma salvare se stessa per il futuro. Il Donbass e la Crimea sono di fatto persi, ma Odessa e Kiev si potranno salvare, e si potrà salvare almeno un futuro nell’Unione Europea, oltre gli scandali per corruzione e con regolari elezioni politiche quando si potranno fare. Soprattutto, si deve smettere di morire e di distruggere ogni giorno. Troppe vite sono già state immolate, alle porte della nostra meravigliosa civiltà democratica, che dovremo difendere con l’intelligenza della realtà e non con la grammatica ideologica dei valori a parole.




