La rivoluzione del Presepe

La rivoluzione del Presepe. Così l’ha definita la stessa Giorgia Meloni e così l’hanno definita i vari commentatori politici italiani. È un videomessaggio social di auguri natalizi di 1 minuto e 24 secondi, in cui il Premier, in maglione bianco e con un presepe dietro di sé (poi c’è quello di Palazzo Chigi, ripreso con il drone), riprende la metafora già usata del pastorello.

Più che le riflessioni sul medium scelto, contano stavolta quelle sui contenuti. Tra non molto, nel 2027, si tornerà a votare e la leader del principale partito di maggioranza, Fratelli d’Italia, e del governo, fa insieme il punto e lancia la lunga volata valoriale della lunghissima campagna elettorale. Pace, serenità, equilibrio, ma soprattutto radici e identità.

Nella primavera del 2022 ero andato a vedere la sua convention a Milano, poi vinse le elezioni politiche. Non c’era il presepe, ma l’ambiente era quello, in grande, di un’assemblea da Partito Repubblicano americano (al di là di Trump), e lei stessa rivendicò il significato ideologico di quella scenografia. Tornava il partito-mondo, con una sua visione del mondo, dopo il terremoto — lunghissimo e non ancora risolto — di Tangentopoli.

Agli italiani si offriva, e si offre, un baricentro, una struttura e una leader. Un centro di gravità permanente, avrebbe detto il grande Battiato.

Sono passati quasi tre anni dalla vittoria alle politiche di settembre e oggi, secondo me — e lo dico con semplicità, onestà e chiarezza intellettuale — Giorgia Meloni è la figura politica più importante d’Europa ed è l’unica ad avere la grande chance di costruire e far durare un partito (termine da prendere in senso largo) conservatore moderno, di stampo internazionale, solido, che porti la destra e un pezzo di centro verso un nuovo traguardo di interpretazione del mondo.

Fascismo, post-fascismo, ultradestra, sovranismo sono concetti vecchi, superati. La Casa del Presepe è il punto fermo: non mainstream, non inchinato al politically correct di stampo progressista anglosassone, punto-specchio identitario degli italiani nei marasmi dell’economia e della geopolitica.

Nella scrittura del nuovo ordine mondiale il nostro Premier c’è. Dalla leadership di quella convention è passata alla maturità relazionale che richiede una premiership. Parla le lingue, è equilibrata, è empatica, e mai negli ultimi decenni l’Italia è stata così rispettata. Aiutiamo l’Ucraina, rispettiamo le istituzioni europee e la Nato e abbiamo un dialogo potente con Trump.

Poi ci sono le sfide interne: welfare, sanità, giovani, donne, Sud. Però economia e occupazione vanno bene. La legge di bilancio non può essere il toccasana di tutti i problemi, ma rispetta i parametri che ci ha dato Bruxelles e il nostro realismo aumenta la nostra reputazione.

Poi ci sono le sfide più strettamente politiche: riforme, legge elettorale, referendum sulla giustizia. Ma l’Italia è in cammino, con il suo pastorello e il suo presepe.

E adesso godiamoci questo Natale italiano, cari amici d’oltreoceano.

Immagine di Claudio Brachino

Claudio Brachino

Giornalista, saggista ed editorialista italiano. Laureato in Lettere, passione per il teatro, ha scritto con De Filippo e Michalkov. Poi 32 anni in Fininvest e Mediaset, dove è stato vicedirettore ed anchor di Studio aperto, due volte direttore di Videonews, la fabbrica dei format, direttore di Sport Mediaset e di Radio Montecarlo news. Inoltre, ha diretto per due anni il Settimanale, magazine cartaceo e web sulle Pmi, ha scritto per Il Tempo e Il Giornale, ora è editorialista del Multimediale di Italpress, opinionista tv per Rai e La7 e direttore editoriale di Good Morning Italy. Da poco ha firmato una collaborazione per lo sport del circuito Netweek.

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