Chiarisco subito, all’inizio: sono contrario a fare della cronaca nera un veicolo di simboli sociali e politici. Tanto meno mi piace prendere un episodio e trasformarlo in un tutto. È una delle figure retoriche del discorso pubblico dei media: la parte per il tutto, una sineddoche, parte della fruttifera famiglia delle metonimie (la causa per l’effetto, per intenderci).
Però che il bullismo sia una piaga sociale in Italia è vero. Non solo in Italia, certo. L’ultimo episodio arriva da Torino e risale alla notte di Halloween, festa che abbiamo importato proprio dall’America.
Insomma, due ragazzi e una ragazza hanno seviziato per tutta la notte un quindicenne fragile.
Volete sapere i particolari? Io, nei limiti delle leggi, non faccio sconti alla verità. Attirato in una casa trappola, privato del telefono, rasato di capelli e sopracciglia, seviziato con un cacciavite e una lametta, bruciato con una sigaretta spenta sulla caviglia, insultato, sputato, gettato nel fiume Dora senza maglietta — e non è certo Ferragosto. Il tutto, ovviamente, ripreso: la bocca dei social è già pronta.
E forse c’è qualcosa di ancora più grave. I genitori hanno denunciato, e gli inquirenti hanno già idea di chi siano i carnefici: gente con precedenti per violenza e bullismo. (Ma se si sapeva, perché girano indisturbati?)
Allora, visto che parliamo tutti i giorni di questi episodi — che spesso sfociano anche in drammi come il suicidio — che fare?
Il ministro dell’Istruzione, Valditara, in una recente intervista mi aveva preannunciato norme più severe per i bulli a scuola, specie se colti in flagrante. È già qualcosa.
Il punire proporzionalmente al reato e all’età è un deterrente della democrazia, non una deriva autoritaria. Ma poi alla scuola si deve aggiungere la famiglia, e poi la società, e poi i media, e poi i modelli culturali, e poi le istituzioni politiche. Insomma, una macchina complessa che deve combattere un malessere.
Esistenzialmente credo ci sia sempre stato, certo: non dobbiamo scomodare il carteggio tra Freud ed Einstein sulla guerra per scoprire la distruttività dell’essere umano. Ma siamo nell’epoca del web, della sua superficialità e delle sue propagazioni feroci.
E sui giovani e giovanissimi non possiamo mollare la presa, lasciando che si feriscano tra di loro, che leggano la fragilità dell’altro come un’opportunità aggressiva e non come una condizione che richiede aiuto e affetto.
Siamo tutti responsabili di questa crudeltà. Fermarla vuol dire ridare un futuro morale ai nostri ragazzi.
Proviamo.




