E alla fine il Papa americano arrivò. A sorpresa, in un tardo pomeriggio del maggio romano, dopo appena un giorno di conclave.
Ieri sera un ritardo che sapeva di giallo, oggi la fumata bianca che ha emozionato la folla di San Pietro e tutti quelli che hanno seguito su scala planetaria a uno degli eventi rituali più importanti del mondo.
Robert Prevost, nato a Chicago, agostiniano con una lunga esperienza missionaria in Perù, si è presentato intorno alle 19,30 alla loggia centrale della basilica di San Pietro come successore di Francesco.
Nel segno di Francesco, simbolico, spirituale, morale e politico. Francesco citato, ringraziato, pregato. La pace sia con voi, la pace semantica di inizio di una missione che era quella di Bergoglio.
Ha scelto il nome di Leone XIV, un discorso lungo, formale, un programma, tanta emozione personale ma poca emozione nel testo e nell’esecuzione. Niente soggettività straripanti, Wojtyla che si appoggia al balcone e dice “mi corigerete”, Bergoglio che dice “vengo dalla fine del mondo”.
Ma è chiara la scelta : la geopolitica di Francesco sarà portata avanti. Trump si è complimentato subito: “un grande onore per il nostro paese il primo Papa americano.”
Si diceva che quel giorno, il giorno dei funerali, Trump avesse fatto di più che parlare con Zelenski. Tutto vero, ma Prevost, 69 anni, non sarà solo americano del nord, sarà l’uomo dei ponti: con il suo Perù, con l’America latina, dalla parte dunque anche dei più poveri.
Nato a Chicago ma da famiglia di immigrati misti. Aperto, dialogante con conservatori e progressisti, uomo di esperienza anche in Curia e dunque uomo di governo.
E’ stato eletto in fretta nel giorno della Madonna, l’8 maggio. La Chiesa sceglie in fretta. Il mondo, non solo quello dei fedeli, ha bisogno di un Pastore, di una guida, di un leader.