Il Male senza confini

Il rapporto che che c’è fra la cronaca nera e lo stato di salute di una società è lo stesso rapporto che c’è fra le idee di chi interpreta e la realtà. Se facciamo un passo in avanti, però, da questo pessimismo giornalistico interpretativo e non abbiamo paura dei luoghi comuni, proviamo a vedere cosa ci dice la cronaca nera dell’estate italiana al di là della complessità dei fatti in sé.

Mettendo insieme omicidi contrapposti, come abbiamo già detto qui, ovvero Sharon Verzeni e la famiglia trucidata a Paderno Dugnano dal figlio diciassettenne, emerge che il Male, almeno geopoliticamente, non è dove te lo aspetti. Ovvero le metropoli insicure e spesso degradate almeno in molti quartieri, con tanta gente, tante storie, tanta criminalità, spesso organizzata. Lì dove, insomma, le statistiche parlano di insicurezza latente e dove le relazioni umane sono messe sotto pressione anche da fattori economici.

Invece il Male è lì, anche nella provincia italiana, anche in piccole comunità in genere tranquille e poco avvezze alla violenza. Il tema di fondo è questo: la società senza più confini geografici e antropologici, quella della Rete, tende a modellare e a spalmare in senso globale modelli culturali e gerarchie di valori o dis-valore. Il male di vivere, insomma, è diventato paradossalmente “universale“. Non che la provincia italiana non abbia generato storie terribili – Cogne, Novi Ligure su tutti, un bambino ammazzato dalla madre e una madre e un bambino ammazzati dalla figlia più grande e dal suo giovanissimo fidanzato. Però qualcosa è cambiato negli ultimi anni, è come se la sofferenza sociale e mentale non avesse più confini e non trovasse più, nelle singole collettività di riferimento, uno sbocco o un aiuto.

Abbiamo già parlato, nel caso di Sharon, della malattia mentale dell’assassino, conosciuta ma senza intervento alcuno; abbiamo parlato della spaventosa incomunicabilità delle famiglie borghesi. Il segnale per tutti, anche per il mondo politico, è che qualcosa a livello generale vada ritoccato: più la persona al centro, meno egoismo, meno affarismo, meno selfismo, meno solitudine interiore ed esteriore. Forse…

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Claudio Brachino

Giornalista, saggista ed editorialista italiano. Laureato in Lettere, passione per il teatro, ha scritto con De Filippo e Michalkov. Poi 32 anni in Fininvest e Mediaset, dove è stato vicedirettore ed anchor di Studio aperto , 2 volte direttore di Videonews, la fabbrica dei format, direttore di Sport Mediaset e di Radio Montecarlo news. Inoltre, ha diretto per due anni il Settimanale, magazine cartaceo e web sulle Pmi, ha scritto per il Tempo e il Giornale, ora è editorialista del Multimediale di Italpress, opinionista tv per Rai e La7 e direttore editoriale di Good Morning Italy. Da poco ha firmato una collaborazione per lo sport del circuito Netweek.

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