Il dazio è tratto

E l’asticella alla fine si fermò sul 15. Non é un numero della tombola, né del casinò. È un numero che fissa le relazioni economiche dei prossimi anni fra due colossi dell’Occidente come Stati Uniti ed Europa, anche se nella UE c’è stata la Brexit con la conseguente uscita del Regno Unito. Certo, i dazi al 15% sono meglio del 30% che sarebbe scattato il primo agosto (e su questo pure Lapalisse non avrebbe nulla da dire), ma sono pur sempre, per il vecchio continente, il triplo di quello che erano con la precedente amministrazione americana, parliamo di nonno Biden: 4,8%.

Una doccia scozzese per le economie dei paesi membri, così molti analisti hanno titolato giocando sul luogo dell’accordo, la tenuta scozzese appunto del tycoon. Ursula von der Leyen è apparsa pubblicamente soddisfatta di aver scongiurato danni maggiori (forse catastrofici) e di aver offerto un quadro di stabilità alle aziende. Le critiche però non sono mancate, una postura troppo sottomessa, dal linguaggio del corpo alla sostanza politica. Troppo morbida, troppo tempo perso prima, troppa fiducia nelle sirene che annunciavano imminenti sfaceli nell’economia a stelle e strisce.

Eppure la Presidente della Commissione europea si è presentata con un mandato unitario di tutti i 27 paesi membri. Le chiacchiere stanno a zero, adesso come adesso non si poteva fare diversamente. Anzi per ottenere lo sconto abbiamo dato a Trump un bel po’ di roba, zero dazi sull’import Usa, investimenti massicci nel suo paese e massicci acquisti di energia e di armi. E una discreta ambiguità su quello che faremo con le big tech della comunicazione.

Le opposizioni strepitano, anche da noi in Italia, ma fanno il loro lavoro (inconcludente). Importante sarà invece ora il lavoro dei governi e delle istituzioni europee per aiutare quelle filiere che andranno in difficoltà, con il conseguente rischio della perdita di posti di lavoro. Ma non bisognerà neanche perdere l’indotto materiale e diciamo così immateriale del nostro export negli Stati Uniti: questione non solo di merci, ma di tradizione e di cultura.

Si vedranno i singoli dossier, come ha già precisato la premier Meloni, e poi si interverrà nello specifico con varie misure ad hoc che non siano i soliti incentivi lineari ma non strutturali. Serviranno, senza alleggerire per questo l’impegno etico della politica, nuove idee commerciali per evitare che tutto si risolva in un insostenibile (anche per molti americani) aumento dei prezzi. E al made in Italy la creatività non manca.  

Immagine di Claudio Brachino

Claudio Brachino

Giornalista, saggista ed editorialista italiano. Laureato in Lettere, passione per il teatro, ha scritto con De Filippo e Michalkov. Poi 32 anni in Fininvest e Mediaset, dove è stato vicedirettore ed anchor di Studio aperto, due volte direttore di Videonews, la fabbrica dei format, direttore di Sport Mediaset e di Radio Montecarlo news. Inoltre, ha diretto per due anni il Settimanale, magazine cartaceo e web sulle Pmi, ha scritto per Il Tempo e Il Giornale, ora è editorialista del Multimediale di Italpress, opinionista tv per Rai e La7 e direttore editoriale di Good Morning Italy. Da poco ha firmato una collaborazione per lo sport del circuito Netweek.

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