Festa!

Due cose da dire su questa notizia importante, storica (siamo d’accordo con Trump) dell’accordo raggiunto in Medio Oriente sulla pace a Gaza tra Israele e i palestinesi. Da una parte, anche se deve uscire di scena, c’è un soggetto che politico non è, perché è un soggetto terroristico, Hamas, dall’altra c’è il recupero dell’autorità nazionale palestinese che era finita un po’ nel retro bottega della cultura, della politica della Palestina, anche addirittura con dei sospetti di corruzione.

C’è una prima cosa da dire, che soprattutto i media italiani non hanno apprezzato e sottolineato, perché gran parte degli articoli e dei titoli sono tutti ispirati al dubbio, alle incertezze e alla fragilità di questa tregua (che, ricordiamo, diventa esecutiva a partire da domenica alle 12.15): noi abbiamo visto delle immagini molto belle ieri. Abbiamo visto un collega di Al Jazeera che si è tolto il giubbotto antiproiettile durante la diretta e finalmente ha fatto festa. Abbiamo visto scene di festa anche collettive che sostituiscono la narrazione a cui si siamo abituati negli ultimi tempi, dalla macelleria dell’attentato di massa del 7 ottobre in Israele compiuto da Hamas a quello che poi gli israeliani hanno fatto a Gaza in un’inevitabile ritorsione e ripercussione che però conta, stando al bilancio ufficiale delle ultime ore, quasi 50.000 vittime civili probabilmente innocenti. Ci sarà tanto un modo di parlare del rapporto tra Hamas e territorio ma questi sono i numeri.

Abbiamo visto per la prima volta non macerie, non bambini denutriti, non persone che piangono, non disperazione: abbiamo visto scene di festa e la festa è sempre importante, dolerà quello che dolerà ma è un segno positivo. Una narrazione di speranza è una narrazione, all’inizio di questo 2025, che ha il suo peso, ha la sua forza.

E poi veniamo ai meriti: Biden, Presidente uscente, fa una conferenza in cui rivendica i suoi meriti e sicuramente quelli della sua amministrazione, della sua diplomazia, il tutto mentre Trump, che si insedierà lunedì 20 gennaio, dice “merito mio” e giustamente rivendica con questo successo l’inizio della sua presidenza per quanto riguarda la politica estera, i temi della geopolitica mondiale e i temi di quella parte del mondo del Medio Oriente che sono problematici da tantissimi anni in realtà.

E veniamo alla seconda cosa che volevo dirvi: i meriti sono di tutti e due, e tolgono quell’idea un po’ schematica che c’è anche nel mainstream italiano di pensare che le politiche estere delle grandi democrazie camminino come in un fumetto adolescenziale o un po’ macchiettistico, a seconda che arrivi un Presidente piuttosto che un altro, con il proprio carattere con il proprio partito, Democratico, Repubblicano, Trump, Biden o altri che siano. In realtà l’America è un grande paese ed ha una potente macchina diplomatica che lavora comunque sotterraneamente a prescindere dalla personalità dei presidenti, che certamente avranno i loro meriti e i loro demeriti. Questo per togliere dalla lettura di quello che è successo un inevitabile senso, come al solito, di schematismo adolescenziale e poi certo c’è da vigilare su questa tregua ma intanto godiamoci per un attimo, come è successo per Cecilia Sala nel nostro video di apertura una settimana, fa un momentaneo senso di festa e di gioia collettiva.

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Claudio Brachino

Giornalista, saggista ed editorialista italiano. Laureato in Lettere, passione per il teatro, ha scritto con De Filippo e Michalkov. Poi 32 anni in Fininvest e Mediaset, dove è stato vicedirettore ed anchor di Studio aperto , 2 volte direttore di Videonews, la fabbrica dei format, direttore di Sport Mediaset e di Radio Montecarlo news. Inoltre, ha diretto per due anni il Settimanale, magazine cartaceo e web sulle Pmi, ha scritto per il Tempo e il Giornale, ora è editorialista del Multimediale di Italpress, opinionista tv per Rai e La7 e direttore editoriale di Good Morning Italy. Da poco ha firmato una collaborazione per lo sport del circuito Netweek.

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