In termini di lotta al crimine, sicuramente l’Italia deve molto all’America. Pensate all’intuizione dell’FBI di centralizzare i dati che si riferivano ai singoli Stati, pensate che alcuni serial killer in certe epoche riuscivano a farla franca perché colpivano in Stati diversi che non riuscivano a mettere insieme i dati che li riguardavano. E poi la storia dei profili, del Mind Hunter e la figura dei cacciatori dei predatori di uomini, quelli che combattevano i serial killer con armi nuove, psicologiche ma non solo.
Pensate a tutta la lingua – o meglio il linguaggio – di CSI, ovvero la scena del crimine; pensate all’evoluzione della scienza forense e la capacità di portare in tribunale le cosiddette prove scientifiche. Un esempio lampante di questo specchio metodologico si è avuto in Italia nella complessa, complessissima storia di Yara Gambirasio che poi ha portato alla condanna definitiva all’ergastolo per Bossetti: un impianto accusatorio basato su una prova che in altri tempi sarebbe stata molto flebile, cioè la struttura del DNA che coincideva quella del carnefice ritrovata sugli indumenti della vittima.
Per arrivare a questa soluzione nell’indagine per la prima volta si è ricorso al cosiddetto screening di massa, ovvero il prelievo e l’esame del DNA a un’intera popolazione – certo, non quella di New York, di una grande metropoli, ma insomma di paesi vicini a quello dove viveva Yara nel bergamasco. Una storia dove venivano coinvolte migliaia di persone. Una scelta di metodo molto complessa con discussioni sulla privacy, con discussioni sul costo, con discussioni sull’efficacia.
Ora tanti anni dopo, in quello che è considerato il giallo dell’estate italiana, ovvero l’omicidio di Sharon Verzeni, la barista accoltellata per strada mentre era uscita di notte a fare jogging a Terno d’Isola sempre nel bergamasco, si sta ricorrendo alla stessa soluzione. E cioè fare lo screening del DNA a tutta una serie di persone: alla fine sono risultate 40 ,che abitano nella via dove è stato compiuto il delitto. Chiaro che ci sono anche altre piste: è stato risentito più volte il compagno della vittima, si indaga sulla pista di Scientology, si cerca di capire cosa c’era nel cellulare di Sharon, le sue ultime relazioni, le sue ultime chiamate, però certo per la prima volta dopo Yara si ricorre a questo metodo del DNA di massa.
Poche discussioni questa volta, forse perché è estate, ma certo ora ci si aspetta che questa forzatura, un po’ su quello che è l’elemento della privacy di un’intera popolazione, porti a qualche soluzione, a qualche possibilità di risolvere un giallo. Per quel che mi riguarda ogni metodo che non sia ovviamente inaccettabile nei suoi principi è benvenuto se ci porta a ricoprire quello spazio che noi chiamiamo verità e che poi possa diventare giustizia.