Com’è difficile dimettersi in Italia! In ogni campo. Stavolta tocca allo sport, dove le rotazioni spesso sono più rapide che in politica e nel mondo manageriale, anzi qualche volta sono convulse e sconclusionate.
Non però quando si parla di Nazionale, dove tutto è più retorico, macchinoso, burocratico e ha che a fare se non con la montagna di soldi dei club almeno con il potere e con l’immagine.
La notizia ormai è nota, il CT dell’Italia Spalletti ieri ha chiamato i giornalisti e ha detto pubblicamente che il Presidente della Figc Gravina (il capo del sistema calcio nel nostro paese) lo aveva esonerato. Lui, Spalletti, sarebbe rimasto ancora, dunque da solo non si sarebbe dimesso.
Eppure la partita con la Norvegia l’abbiamo vista tutti, una lezione non solo nel risultato, ma nella voglia, nell’identità nazionale, nella preparazione atletica, nella dimensione tecnica. Forse il punto più basso della storia degli Azzurri negli ultimi decenni, preceduto solo da alcune perle come la sconfitta con la Svizzera agli Europei e la figuraccia con la Macedonia del Nord a Palermo, ma quello era Mancini e non siamo andati ai Mondiali in Qatar.
I Mondiali appunto, rischiamo di non andarci neanche stavolta, la terza consecutiva, cosa mai vista e cosa che arrecherebbe danni molto severi al nostro cosiddetto movimento, danni forse fatali. Per una questione del genere ci si dimette la sera stessa della partita, si chiede scusa agli italiani (perché la nazionale è degli italiani) e si torna, comunque ricchi, nella propria tenuta in Toscana a riflettere per lungo tempo.
Invece si comunica alla stampa l’esonero subito. Un giorno prima di una partita che in altri tempi (la Moldavia) sarebbe stato un allenamento e oggi diventa già da dentro o fuori per tanti motivi, non esclusa la differenza reti.
Certo il sacrificio dell’allenatore salva per il momento il dirigente che gli sta sopra, Gravina. E alla domanda sul tradimento il ruvido Luciano si è quasi messo a piangere. Ma questa non è una tragedia di Shakespeare, è lo psicodramma di un calcio, quello italiano, che se vuole essere ancora tra i più importanti del mondo, deve fare riforme urgenti.
Sennò le dimissioni, per quanto non di moda nel costume nazionale, sono sempre lì a disposizione.