Ogni tanto torna di moda la parola censura. Simbolo dei regimi non democratici ma anche simbolo delle tentazioni liberticide delle nostre democrazie. Le vittime, si fa per dire perché qui nessuno rischia la vita come in Iran ma semmai aumenta vendite e notorietà, sono gli artisti.
Gli ultimi casi celebri: Fedez al concerto del primo maggio, Ghali nell’ultima edizione di Sanremo e ora Tony Effe, prima chiamato e poi cancellato dalla giunta PD del comune di Roma per la sera del 31. Beh, se il motivo è la visione del mondo che emerge dei suoi testi, potevano leggerli prima, non sono mica clandestini. Violenza, machismo, sessismo, volgarità, sono il filo rosso di quasi tutti i rapper e trapper italiani. Si può discutere a lungo della dimensione ideologica e culturale della dimensione estetica, ma ripeto, tutto qui era alla luce del sole.
Fatto sta che la frittata cresce ed è diventata un’onda gigantesca di uova frullate, in tanti esprimono solidarietà, altri già urlano alla libertà artistica, il più furbo di tutti è però il censurato che ha replicato così: faccio un concerto al Palaeur al prezzo stracciato di dieci euro. Con questa pubblicità sarà pieno. E la piazza della festa pubblica sarà deserta, senza cantanti, ammutinati per compiacere il Censurato, e almeno senza i fan di Tony Effe, che si porterà sul palco anche gli amici canterini per fare un inno di marketing alla libertà. Che qui c’entra poco, semmai abbiamo a che fare con una categoria che non dico, per paura di prendere querele.
Dio mio, mica mi starò censurando da solo?
Infine addio alla vecchia Festa di piazza, tutto nella nostra epoca è a pagamento e, soprattutto, anche la censura in democrazia rende.