Tra poche ore Giorgia Meloni alzerà i calici. Due anni fa, il 25 settembre del 2022, vinceva le elezioni politiche a capo della coalizione di centro destra e a capo di un partito, FdI, da lei fondato dieci anni prima con La Russa (oggi presidente del Senato) e Crosetto (oggi ministro della Difesa), inizialmente come costola del PDL. Del bilancio di questi due anni di governo (che nacque poi nella seconda metà dell’ottobre del 2022) avremo modo di parlare più avanti. Ora, in occasione del viaggio americano del premier, vogliamo mettere l’attenzione su un focus specifico.
Fin da quella vittoria, uno dei fili costanti di polemica e di sfiducia delle opposizioni (uso il plurale perché così è) era proprio sullo standing del Presidente. Tradotto con brutalità, la domanda accompagnata da qualche sorrisino radical chic era: dalla Garbatella a Palazzo Chigi ai grandi del mondo, gliela farà o no? Invece io speriamo che me la cavo con le lingue e la diplomazia, è diventato a sorpresa un punto forte della Meloni. Parla cinque lingue, si intrattiene con i leader senza traduttori e intermediari, è giovane, autorevole, concreta, ha vinto le elezioni europee nel suo paese, è stabile politicamente e stabile nelle alleanze, specie quelle atlantiche.
In questo viaggio c’è un importante discorso all’Onu sui grandi temi della geopolitica e dei conflitti attuali e un premio prestigioso, l’Atlantic Council, che le ha dato l’uomo più ricco – e discusso – del mondo, Elon Musk. Con cui, al di là dei riconoscimenti, ha fatto un incontro, una volta si diceva bilaterale, su questioni decisive come innovazione e tecnologie della comunicazione. Poi appoggio all’Ucraina, certo, ma niente party con Biden e Zelensky. Armi sì, ma cum grano salis.
C’è un‘opinione pubblica italiana da rispettare e anche le diverse sensibilità politiche nella maggioranza e nella politica tutta. Però, nel complesso, voto alto. Tu vo fa l’americana, direbbe Carosone, e lei c’è riuscita alla perfezione. Con buona pace delle anime belle!