America first (anche nella forza)

America First martella nella notte. È un controsenso secondo molti analisti, il grande colosso a stelle e strisce che torna ad essere il gendarme del mondo al di là delle promesse elettorali di Trump: l’interesse nazionale prima di tutto, niente guerre inutili in giro per il mondo tantomeno per esportare l’inesportabile, ovvero una governance democratica che i popoli si devono dare da soli e non con i marines.

E allora perché bombardare l’Iran sulla scia dell’aggressività dell’alleato sempre più di ferro, ovvero Netanyahu? Innanzitutto bisogna precisare che la politica estera di una grande potenza non è uno schemino euclideo di cause ed effetti. E non è prevedibile. Gli sviluppi delle crisi vanno seguiti momento per momento, nella loro evoluzione empirica e nel senso storico che delineano.

Dopo le delusioni di Carter (il disastroso blitz per liberare gli ostaggi del 1980) e dopo inconcludenti, oscure e lunghissime trattative sul nucleare, l’occasione era ghiotta: Israele ha indebolito Hamas, decapitato Hezbollah, rovesciato il regime filo iraniano in Siria, bombardato fino allo stremo il regime degli ayatollah (Khamenei è nascosto per difendere la sua vita più che per gestire il paese), un’operazione militare chirurgica e spettacolare si poteva fare.

Non una guerra vera e propria ma una dimostrazione planetaria di forza che serviva a chiudere le ambizioni di Teheran sulla bomba atomica e come deterrente per tutti gli altri, Russia e Cina in primis. Russia e Cina in verità  molto prudenti nelle prime reazioni, quasi a far pensare (male) che un accordo sul nuovo ordine mondiale sia stato raggiunto, almeno per ora.

Il regime degli ayatollah è sacrificabile. In Medio oriente gli interlocutori (non israeliani) sono i ricchissimi sunniti arabi. Le domande però sono ancora tante: ci sarà la reazione terroristica, ci sarà la vendetta economica con la chiusura dello stretto di Hormuz dove passa il petrolio per tutto il mondo? E poi davvero i siti nucleari iraniani sono stati danneggiati per sempre?

Come dicevamo all’inizio la geopolitica ad alti livelli non è un comodo teorema di Pitagora. Tutto è sempre relativo (Einstein docet) e quello che è certo è che l’equilibrio in quella parte da sempre infuocata del mondo è ancora molto, ma molto lontano. 

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Claudio Brachino

Giornalista, saggista ed editorialista italiano. Laureato in Lettere, passione per il teatro, ha scritto con De Filippo e Michalkov. Poi 32 anni in Fininvest e Mediaset, dove è stato vicedirettore ed anchor di Studio aperto, due volte direttore di Videonews, la fabbrica dei format, direttore di Sport Mediaset e di Radio Montecarlo news. Inoltre, ha diretto per due anni il Settimanale, magazine cartaceo e web sulle Pmi, ha scritto per Il Tempo e Il Giornale, ora è editorialista del Multimediale di Italpress, opinionista tv per Rai e La7 e direttore editoriale di Good Morning Italy. Da poco ha firmato una collaborazione per lo sport del circuito Netweek.

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