Matteo Zoppas, Presidente dell’Italian Trade Agency: “Made in Italy cresce nonostante gli aumenti”

Tra crisi energetiche, guerre e tensioni commerciali, il Made in Italy continua a parlare una lingua chiara: qualità, autenticità e riconoscibilità. Gli Stati Uniti, primo partner extraeuropeo dell’Italia, rappresentano una frontiera chiave per il nostro export agroalimentare. Abbiamo incontrato Matteo Zoppas, Presidente dell’Italian Trade Agency, a New York in occasione del Fancy Food Show, per capire quali sfide e opportunità si aprono oggi per le imprese italiane e quali strategie siano necessarie per consolidare la presenza del nostro Paese nel mercato statunitense.

Presidente Zoppas, gli Stati Uniti mostrano sempre più interesse verso le eccellenze italiane. Quali trend positivi avete osservato negli ultimi anni e come sfruttare questa apertura per rafforzare la presenza del nostro Paese sul mercato statunitense?

È una domanda interessante. Guardando i numeri di crescita dell’agroalimentare – mi concentro soprattutto su questo settore – possiamo osservare che, dal 2019 (prima della pandemia) fino al 2022-2023, c’è stata una crescita a doppia cifra, nonostante l’impatto del lockdown e la successiva riapertura dei mercati. I costi dei trasporti sono aumentati smisuratamente, anche di cinque volte, sia sulla costa Est che su quella Ovest, e più in generale in tutta l’America. Questo ha messo a dura prova la competitività dei nostri prodotti dal punto di vista del prezzo.

Quando i costi logistici hanno cominciato a ridursi, è scoppiata la guerra in Ucraina, che ha fatto aumentare i costi dell’energia, influendo nuovamente sul prezzo finale dei nostri prodotti. Queste due voci di costo – trasporti ed energia – hanno colpito soprattutto chi produce in Italia e vende negli Stati Uniti, non chi produce direttamente qui. Eppure, nonostante tutto, il Made in Italy ha continuato a crescere incessantemente.

Questo dimostra la forza del nostro brand: i consumatori, piuttosto che rinunciare a un prodotto italiano, hanno preferito pagarlo di più. È un segnale forte. Certo, non sappiamo se questa dinamica durerà per sempre, perché prima o poi i mercati potrebbero presentarci il conto. Ma oggi, nonostante un aumento del dollaro pari a circa il 10% da inizio anno (che di fatto è già una sorta di tassa), e nonostante l’incertezza sui dazi, le vendite continuano a crescere.

Per dare un dato: nel 2024 abbiamo registrato un +17% nell’export agroalimentare, e nei primi quattro mesi del 2025 c’è già un ulteriore +14%. È vero che ci sono delle flessioni, per esempio la birra ha registrato un calo del 40% nel 2025, e anche il riso ha subito un contraccolpo. Ma nel complesso, l’andamento è positivo.

I dazi non devono essere introdotti per diverse ragioni: prima di tutto per una questione di competitività, e poi per proteggere la nostra value chain. Se togliamo marginalità alla nostra catena distributiva, rischiamo che gli operatori preferiscano orientarsi verso altri Paesi. Inoltre, dobbiamo evitare che i dazi si riflettano sul consumatore finale, che altrimenti potrebbe acquistare meno, penalizzando soprattutto i prodotti più simili alle commodity – quelli con bassi margini e alta sostituibilità.

Per fortuna, molti prodotti italiani sono difficilmente sostituibili: hanno costruito un brand forte, una riconoscibilità, una premiumness. Il consumatore è disposto a pagarli di più pur di non rinunciarvi.

Guardando al futuro, quali sono le sfide e le opportunità per l’export italiano? E quali strumenti sta mettendo in campo l’Italian Trade Agency per accompagnare le imprese all’estero?

Stiamo accelerando sia sulla promozione che sullo sviluppo. La promozione è il racconto del Made in Italy, mentre lo sviluppo riguarda eventi come il Fancy Food Show, dove si crea un business matching tra clienti e produttori italiani.

La nostra azione è continua, come una goccia cinese: alimentiamo il contatto tra cliente estero e fornitore italiano. Quando si è compreso che i dazi potevano rappresentare una criticità, la Farnesina ci ha indicato di accelerare in 14 Paesi particolarmente strategici. Ma ha anche sottolineato che gli Stati Uniti non possono essere trascurati: è un mercato che abbiamo conquistato con fatica e che ha un valore enorme. Perderlo significherebbe dover spendere molte energie per riconquistarlo.

Cosa rende così forte la connessione tra Italia e Stati Uniti nel campo del Made in Italy?

Più che cercare un motivo esterno, direi che la forza sta nei nostri prodotti: sono realizzati bene, spesso meglio dei competitor. Hanno qualità, servizio, creatività, inventiva. E poi stile, design. Anche nel cibo: c’è gusto, presentazione, un modo di cucinarlo che riflette tutta la filiera impostata su questa eccellenza.

Quali sono i prodotti italiani più richiesti qui negli Stati Uniti, nel settore food?

Dipende. Se guardiamo ai volumi, la pizza è tra i prodotti più diffusi, anche se con una minore premiumness. Il vino va molto bene, con i nostri marchi più noti e posizionati – quelli che finiscono in “-aia” per capirci – che ci rappresentano molto bene. Il prosecco è ancora un fenomeno in crescita, con una brand awareness difficilmente superabile. E poi ci sono la mozzarella, la pasta, l’olio… tutti i nostri grandi classici stanno funzionando bene sui mercati internazionali.

Un’ultima domanda. Per un brand, cosa significa partecipare a un evento come il Fancy Food Show?

Dipende dal livello di maturazione del processo di internazionalizzazione. Un brand già consolidato può qui preparare una vetrina ottimizzata, incontrare tutti i suoi clienti in un unico luogo, risparmiando tempo e risorse. Inoltre, eventi come questo permettono di respirare i trend di mercato, capire dove sta andando il settore, cosa si muove nella ricerca e sviluppo. È un momento strategico per cogliere opportunità, ma anche per anticipare rischi.

Grazie, Presidente Zoppas, per essere stato con noi a New York.

Grazie a voi.

Un ringraziamento speciale ai nostri brand partners: Italian Trade Agency (ICE), Universal Marketing, Specialty Food Association (SFA), Neos, Caffè Borbone, Sita Cheese, Acquerello, Molino Casillo e Del Corona & Scardigli Group (DCS).

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