Il giorno in cui il futuro di Ritorno al futuro è diventato presente (e ora è passato)

Nel 2015 il calendario ha raggiunto la data immaginata da Zemeckis nel secondo film della saga, trasformando una fantasia degli anni Ottanta in un esperimento collettivo su come avevamo immaginato il nostro tempo

Oggi è il 21 ottobre, una data che per molti appassionati di cinema non passa inosservata. Dieci anni fa, nel 2015, il calendario raggiungeva il giorno immaginato da Robert Zemeckis nel secondo capitolo di Ritorno al futuro, quello in cui Marty McFly e Doc Brown viaggiavano nel tempo per arrivare in un futuro che allora sembrava lontanissimo. Oggi quel futuro è a sua volta un passato, e il modo in cui il mondo si è evoluto offre un nuovo punto di confronto tra immaginazione e realtà.

Nel 2015 il Back to the Future Day era diventato un fenomeno globale. Le redazioni di giornali, le piattaforme online e i fan di tutto il mondo si erano uniti per verificare quanto del futuro previsto da Zemeckis fosse stato realizzato. I droni cominciavano a diffondersi, le videochiamate erano ormai comuni e i pagamenti digitali si stavano imponendo. Le auto volanti e gli hoverboard, invece, restavano un sogno, mentre Internet, grande assente nella visione del film, si era rivelato la vera rivoluzione del tempo.

Il 2015 nel film

Oggi, dieci anni dopo, la tecnologia ha superato molte di quelle ipotesi. L’intelligenza artificiale, i veicoli a guida autonoma, i robot sociali e la realtà aumentata sono entrati nella vita quotidiana con una rapidità che nemmeno il film più ottimista degli anni Ottanta avrebbe potuto prevedere. Se nel 2015 ci si chiedeva dove fossero le scarpe che si allacciano da sole, nel 2025 ci si chiede quanto tempo manchi a una piena integrazione tra umani e sistemi digitali.

Il fascino di Ritorno al futuro, tuttavia, non risiedeva solo nelle invenzioni. Era nella sua rappresentazione di un tempo mobile, in cui il passato, il presente e il futuro erano legati da scelte personali e responsabilità collettive. Quel tema resta attuale, anche in un presente in cui la tecnologia sembra agire più velocemente della coscienza umana. Ogni 21 ottobre, la saga di Zemeckis torna a ricordare che il futuro non è tanto un luogo da raggiungere, quanto qualcosa che costruiamo con le nostre decisioni.

Nel 2015, per celebrare la data, molte istituzioni pubbliche avevano partecipato al gioco collettivo. Le forze di polizia di diversi paesi pubblicarono comunicati ironici su presunti “arresti per turbamento del continuum spazio-temporale”, mentre la NASA, i musei e perfino alcuni aeroporti dedicarono messaggi e allestimenti al film. La DeLorean, l’auto che viaggiava nel tempo, fu esposta in varie città del mondo, da Los Angeles a Tokyo, come simbolo di un’epoca in cui il futuro era ancora un’idea da immaginare.

Il film di Zemeckis, uscito nel 1985 e prodotto da Steven Spielberg, aveva impiegato anni per essere realizzato. All’inizio era stato rifiutato da vari studi cinematografici, che lo consideravano troppo “pulito” per il pubblico adolescenziale del tempo. La collaborazione tra Zemeckis e Spielberg, unita all’interpretazione di Michael J. Fox e Christopher Lloyd, trasformò però Ritorno al futuro in un successo imprevisto e duraturo, con incassi superiori ai 380 milioni di dollari e due sequel realizzati a breve distanza.

La trilogia non si limitava a un racconto di avventure fantascientifiche. Attraverso il viaggio nel tempo, parlava di memoria, di famiglia e di progresso, temi centrali nella cultura americana degli anni Ottanta. Quando nel primo film Marty tornava nel 1955, il passato non appariva come un luogo esotico ma come un’America ancora riconoscibile, in cui la fiducia nel futuro era già un tratto identitario. Da questo punto di vista, Ritorno al futuro è stato anche una riflessione sulla costruzione del mito americano attraverso il cinema e la musica.

In Italia il film fu accolto con grande entusiasmo, diventando parte della memoria collettiva di una generazione. Critici e studiosi hanno spesso sottolineato come Ritorno al futuro rappresenti una forma di “postmodernità ingenua”, un’epoca in cui la cultura pop iniziava a riflettere su se stessa con ironia. Come scriveva la studiosa Elisa Cuter su Doppiozero, si trattava dell’“infanzia pop della nostra modernità”, un tempo in cui il pubblico era ormai consapevole del proprio linguaggio culturale e ne godeva i riferimenti interni.

A quarant’anni dall’uscita del primo film, Ritorno al futuro continua a essere proiettato, studiato e citato. I suoi protagonisti, Michael J. Fox e Christopher Lloyd, sono diventati simboli di un modo di raccontare il tempo che unisce ironia e malinconia. Ogni nuova generazione scopre la trilogia come se fosse un racconto del proprio presente, e ogni 21 ottobre diventa un’occasione per misurare quanto siamo cambiati rispetto a quell’immaginario.

Nel 2025, il mondo appare molto diverso da quello che Zemeckis aveva immaginato, ma non meno complesso. Le sfide climatiche, l’automazione del lavoro e l’espansione delle tecnologie digitali hanno ridefinito il concetto stesso di futuro. Forse per questo Ritorno al futuro continua a suscitare affetto: perché, pur parlando di viaggi temporali, è sempre stato un film sul presente, sulle scelte e sui legami che definiscono il nostro tempo.

Oggi, dieci anni dopo quel 21 ottobre del 2015, il mondo continua a guardare avanti. Ma la data, ogni anno, torna a ricordare un’idea semplice e ancora valida: il futuro non è qualcosa che accade da solo, è qualcosa che si costruisce, giorno per giorno, proprio come facevano Marty e Doc a bordo della loro DeLorean.

Immagine di Francesco Caroli

Francesco Caroli

Francesco Caroli, nato a Taranto, ha iniziato a scrivere di musica e cultura per blog e testate online nel 2017. È autore per le riviste cartacee musicali L'Olifante e SMMAG! e caporedattore per IlNewyorkese. Nel 2023 ha pubblicato il saggio "Il mutamento delle subculture, dai teddy boy alla scena trap" per la casa editrice milanese Meltemi.

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