Il Presidente di ICE Matteo Zoppas intervistato da Claudio Brachino Buongiorno America | Ep. 3

Benvenuti da Claudio Brachino al nuovo appuntamento con Ritratti, la nostra serie di podcast video per Buongiorno America e tutte le testate che fanno parte di Buongiorno America, li chiamiamo anche Portraits, non perché siamo amanti dell’anglicismo, ma perché distribuiamo testate che voglio fare da ponte culturale fra l’Italia e gli Stati Uniti. Il nostro ospite di oggi è Matteo Zoppas, che ringrazio per la sua disponibilità.

E’ un imprenditore importante e in questo podcast soprattutto presidente di ICI. Io ho fatto vent’anni il TG e ho sempre scritto le qualifiche e le definizioni, così le leggo, non mi sbaglio mai. La diciamo che cos’è secondo la definizione ufficiale e poi ce la facciamo raccontare meglio da Zoppas.

“Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane, l’organismo attraverso cui il governo favorisce il consolidamento dello sviluppo economico e commerciale delle nostre imprese sui mercati esteri.”

Ogni presidenza ha un Presidente. Lei è un imprenditore, con una storia importante, quindi è al posto giusto perché conosce le esigenze delle imprese. Le chiedo, come Presidente, qual è la mission, la strategia e gli obiettivi della sua presidenza?

Ogni  Presidente ha una sua strategia. Qual è la sua?

Sì, diciamo subito che non è la presidenza che fa tutto il lavoro, per cui bisogna dire che c’è la presidenza, il consiglio di amministrazione, gli indirizzi politici, la cabina di regia che dà gli indirizzi che deve seguire l’Agenzia nello scaricare a terra quello che si può fare è cercare di dare delle priorità nell’interpretare quelle che sono le indicazioni e come meglio scaricarla a terra, naturalmente con una struttura e con un’Agenzia di tipo pubblico, perché comunque facciamo parte della pubblica amministrazione e bisogna riuscire a trovare dei compromessi per dare un’interpretazione diciamo imprenditoriale a quelle che sono le attività che possono essere svolte.

Forse questo è il valore aggiunto che posso dare. Sicuramente la  mission dell’Agenzia è quella della promozione e dello sviluppo del Made in Italy nel mondo. La promozione equivale un po’ al marketing di un’azienda, lo sviluppo corrisponde un po’ al commerciale: noi facciamo sviluppo nel momento in cui riusciamo a mettere insieme in modo sistematico i nostri produttori con operatori, importatori e acquirenti dall’altra parte del confine. Questo è l’obiettivo, la strategia invece, vale a dire come perseguire l’obiettivo per definizione, non è una cosa facile. È una cosa che comunque sta succedendo già da molti anni perché purtroppo mi accorgo come persona che arriva dall’azienda, che ha seguito l’internazionalizzazione di un marchio importante, che ha avuto la fortuna di rappresentare come presidente di Confindustria molte aziende di una territoriale, poi di una regionale, mi rendo conto che quello che si chiama “sistema Paese” non è sufficientemente conosciuto. Le dico, ho fatto anche una prova perché pensavo potesse essere un mio problema, (perché ognuno ha la sua storia come diceva lei prima): abbiamo raccolto a un tavolo altri imprenditori, altri presidenti territoriali e anche export manager delle aziende e si è capito che non tutti sanno veramente cosa fa né ICE né il “sistema Paese”, che ricordo è composto da quell’entità che il governo può usare per aiutare la promozione e lo sviluppo delle esportazioni, Sace, Simes, Cassa Depositi e Prestiti e soprattutto tutti gli enti governativi, tutti i ministeri che ci lavorano. Allora la strategia, se posso definirla, per me è proprio quella di riuscire ad avvicinare molto la mentalità del privato al pubblico e viceversa. La strategia è quella di far capire alle imprese quanto il sistema Paese funziona; vorrei essere chiaro, i risultati già vengono portati nonostante non si conosca abbastanza bene quello che fa: quando dico questo posso supportarlo anche con uno studio che abbiamo fatto con l’istituto Istat, con il quale abbiamo analizzato dei campioni di aziende che venivano assistite da ICE, omogenee aziende che non venivano assistite da ICE e c’è mediamente una crescita del 5% in più. Quindi gli strumenti ci sono e, se posso fare un esempio, noi che cosa facciamo come ICE? Noi portiamo gli imprenditori all’estero a esporre i propri prodotti, a fare delle emissioni, facciamo delle collettive nelle fiere, abbiamo quasi 90 uffici nel mondo per dare un indirizzo, soprattutto a quelle piccole e medie imprese che ancora non conoscono il mercato al quale si vogliono affacciare, per capire quali sono i clienti principali del loro settore, instradarli, aiutarli e assisterli nell’andare a contattarli, ma poi anche tutte le altre problematiche che ci sono che sono normalmente specifiche del paese, certificazione, burocrazie, doganali e quant’altro. E poi quello che facciamo anche e soprattutto (e questa è la parte che non si sa molto) è che noi facciamo i cosiddetti incoming, per cui lavoriamo all’estero come abbiamo detto, e in Italia facciamo sia delle emissioni particolari dove portiamo operatori e imprenditori a visitare distretti industriali, produttivi, artigianali e quant’altro, ma soprattutto, la cosa più classica, è che alle varie manifestazioni feristiche che ci sono portiamo  buyer internazionali. Dal salone del mobile alla settimana della moda, al Pitti Uomo, al Pitti in genere e a quello solo agroalimentare, mi viene in mente in particolare il VinItaly con cui lavoriamo molto bene con Fiera di Verona: nel VinItaly su 800 buyer internazionali, 500 li portiamo noi selezionati insieme alla Fiera. Se lei si mette nei panni di un imprenditore che sta esponendo e che si vede arrivare 8 buyer, dovrebbe sapere che 5 sono portati dall’ICE e magari non lo sa (e non possiamo neanche farli girare con i tagliandini ICE), ma sono quei buyer, quegli importatori, quegli operatori che poi gli fanno la differenza nel loro business comune.

E soprattutto bisogna anche considerare, questo è un messaggio che do agli imprenditori (di interpretazione di quello che facciamo), che normalmente alle fiere in Italia e all’estero, si fa un primo contatto, di 100 contatti fatti alcuni se ne portano a casa e cominciano a lavorare quei 10, 100, 200 milioni di euro all’anno: il contratto non si fa subito, normalmente c’è il primo contatto in fiera e poi, a distanza di tempo, si va a concludere. Quindi se lei mi dice che cosa hai fatto nella fiera non glielo posso dire: ti abbiamo portato i vari operatori, poi col tempo questi business si sviluppano. Cominciamo con le piccole e medie imprese, ma anche le grandi imprese in queste situazioni hanno gli stessi buyer che vengono a trovarle, quindi facciamo un po’ un’operazione a tutto tondo, siamo vigilati dal Ministero degli Affari Esteri, quindi siamo coordinati dal Ministero di Antonio Tajani, abbiamo una regia che è composta da Ministero degli Esteri in primis, il MIMIT, quindi il Ministero dei Made in Italy, il Ministero del Turismo e anche il Ministero della Sovranità Alimentare (con il quale lavoriamo molto perché sappiamo che l’agroalimentare è molto importante per il Made in Italy), e naturalmente anche il Ministero dell’Economia e Finanza che ci deve in qualche modo aiutare economicamente per svolgere bene il nostro lavoro.

È stato molto chiaro, abbiamo consumato metà del nostro format ma io non l’ho interrotta perché si è preso anche la mia seconda domanda, che però è anche quella essenziale. Aggiungo solo una piccola cosa come giornalista, e sono contento di far comunicazione su questo con lei e con questi media, come ho fatto anche con gli altri media in cui lavoro, perché sempre di più si parla di questo tema fra giornalisti: l’internazionalizzazione che sembra concedere una brutta parola, però la dobbiamo spiegare e dobbiamo capire cosa c’è dietro, lei l’ha spiegato bene. Poi alla fine sono cose che molti imprenditori non conoscono, non conoscono le regole, non sanno cosa fanno le grandi agenzie governative come quella che lei rappresenta oggi, e quindi fare comunicazione su questo e far capire come funziona il dialogo oggi con il mercato estero è molto importante.

Completo, magari allora la risposta perché è importante capire una cosa: l’internazionalizzazione va dall’inizio del commercio estero, che è quello che facciamo noi, all’insediamento poi di unità commerciali e poi anche unità produttive all’estero. Tutto parte dalle prime vendite: quando le vendite poi raggiungono un livello che giustifica degli investimenti all’estero, allora lì subentra ancora di più l’assistenza da parte di SACE, SIMEST, Cassa Depositi e Prestiti, che aiutano anche finanziariamente poi nel luogo a fare questo tipo di operazioni.

Io dico sempre agli imprenditori, e credo che sia necessario: leggetevi le istruzioni per l’uso. Se voi sapete quello che fa il sistema Paese vi potete rivolgere allo stesso e quindi farvi dare una mano. Togliamo lo scetticismo, che magari è giustificato dal fatto  che qualche esperienza può essere andata non a buon fine: non abbiamo la bacchetta magica per cui non vi risolviamo tutti i problemi, ma noi siamo un’infrastruttura sulla quale si deve basare lo sviluppo e la crescita di quell’internazionalizzazione.

Parliamo un po’ delle nostre PMI, che sono importanti…

Sono il 95% è il tessuto imprenditoriale italiano.

È  il romanzo del nostro capitalismo: le piccole, le micro-imprese, le medie. Io ho intervistato spesso il governatore del Veneto, Zaglia, e mi dice “quando viene in Veneto e vede una strada che sembra fatta di case, in realtà sono tutte PMI, una dietro l’altra”. E’ molto bella l’immagine, io mi sono occupato del PMI con il mio settimanale, e devo dire che è un mondo che anche i giornalisti economici conoscono poco e, come lei sa, è rappresentato anche poco nella comunicazione.

Allora, la prendo da lontano, parliamo di Italia e America, visto che qui parliamo di organi di comunicazione fra i due paesi, e i due modelli. Quando il presidente Mattarella è andato in Kenya un anno fa, parlando delle nostre PMI, ha detto che “è un modello che fa imprenditoria, è territorio che il mondo (a prescindere ora da un luogo della vista) ci invidia”. Ecco, questo modello quando si confronta, per esempio, con l’America, che è un altro paese, ha lavorato per me un signore importante, si chiama Cirolle, che vive a Sacramento, consulente di PMI, e dice che il modello americano è molto importante, perché è molto diverso dalle nostre PMI.

Noi siamo geniali, siamo creativi, abbiamo delle idee straordinarie, però, per esempio, siamo poco propensi a fare le start-up, perché per noi esiste il concetto di “fallimento” che in America non c’è, e gli americani sono molto rigidi nella disposizione delle regole. Allora io volevo chiederle, in questo rapporto Italia-America, che è un rapporto felice, culturalmente, antropologicamente, storicamente felice, come si incontrano questi due modelli?

Più che modelli, che non è proprio a mia competenza, le posso dire che c’è un numero molto interessante proprio sulle start-up.

Quando sono stato al CES un mese fa è uscito un numero molto interessante vale a dire gli investimenti che vengono fatti nelle start-up italiane sono cresciuti in modo molto importante. Se non erro sono 60-67% di aumento nell’ultimo anno. Quindi c’è un interesse sempre più forte, sempre più intenso.

Devo dire anche che il modello italiano, rispetto a quello americano, ha anche una certa caratteristica. Noi abbiamo una capacità, soprattutto delle piccole e medie imprese e anche le micro imprese, di generare delle idee, quindi dei prodotti ed avere una creatività che normalmente all’estero si ha solo quando ci sono delle grandi aziende che investono in ricerca e sviluppo, e quindi portano sul prodotto una caratteristica di un’obiettività che può essere interessante. Noi invece lo facciamo anche con le piccole e medie imprese perché abbiamo, come lo citava lei prima la genialità, la creatività, l’ingegno e la capacità di scaricare a terra degli imprenditori che difficilmente riusciamo a trovare all’estero.

E questo lo mettiamo al sistema perché sono tantissime le aziende, per cui c’è un proliferare di idee che ci sono le piccole e medie imprese, e anche nelle start up ovviamente, e questo è un nostro patrimonio che è quello che ci consente di rimanere Made in Italy nel mondo in qualche modo. Poi naturalmente ci sono anche le grandi imprese che fanno quei salti, quei balzi molto importanti che diventano appunto il riferimento ai mercati a livelli mondiali. Questa è forse un’osservazione non scontata e un po’ diversa da tutte le altre che vengono fatte normalmente.

Ripeto al CES abbiamo visto delle attività importanti, forse siamo un po’ timidi nell’utilizzo e nell’affrontare il tema dell’Intelligenza Artificiale, forse su quello dovremmo un po’ accelerare rispetto agli altri alle altre realtà che si vedono in giro, e magari può far paura che il momento in cui l’intelligenza artificiale diventerà generativa veramente, non quella generativa di oggi, generativa applicata, forse potremmo cominciare ad avere quell’ingegno, sapere essere creativi anche nell’utilizzo dell’Intelligenza Artificiale perché altrimenti rimaniamo veramente indietro.

Questo è un tema molto importante che ha toccato. Io riguardo ai numeri non so se più o meno abbiamo detto tutto, perché avevo un appunto sul bilancio complessivo dell’Istat sull’export italiano ma mi sembra che più o meno i numeri li abbiamo esposti chiaramente…

Ma guardi, facciamo un numero che è quello più importante. Ce l’ha dato il ministro Antonio Tajani, per la  crescita del Made in Italy all’estero: 700 miliardi. Noi siamo a circa 620 miliardi di euro: per arrivare a 700 ci sono questi 80 miliardi da chiudere e noi, come sistema Paese, dobbiamo ingegnarci per essere una buona infrastruttura che ci faccia raggiungere quei numeri. Attenzione che abbiamo delle situazioni abbastanza critiche adesso: la Germania, con una questione non solo di breve periodo ma di medio-lungo periodo perché è legata a una politica industriale di lungo periodo dell’automotive. Abbiamo la Cina che sta sottoperformando. Abbiamo alcune categorie che sono ancora titubanti.

Abbiamo la situazione del conflitto in Ucraina che mi blocca l’Ucraina e la Russia. La Russia quando si sblocca mi apre un mercato, l’Ucraina diventerà un’opportunità per la ricostruzione che conta 400 miliardi in genere: dobbiamo andare a prenderci più che possiamo. Abbiamo il piano Mattei che deve essere “aggredito” perché è una lungimiranza importante: 1 miliardo e 400 milioni di persone che fanno 20 miliardi di euro di esportazione italiana contro la Germania che su 80 milioni fa 80 miliardi di esportazioni.

Quindi se cominciamo a far crescere quel mercato sicuramente c’è un’opportunità ampissima. E poi ci sono opportunità come l’aerospaziale, che passerà da 600 miliardi di euro di Space Economy a 1600 -1800 miliardi nel giro di 10 anni. Quindi noi abbiamo almeno 20 – 25 miliardi da prenderci in quella forbice.

Quindi insomma le opportunità ci sono, dobbiamo andarcele a prendere e aiutare gli imprenditori a farlo.

Assolutamente. Insomma lei giustamente ha ricordato due cose, che fanno parte del sottotesto della nostra intervista, che sono la conoscenza e l’evoluzione della geopolitica, la conoscenza e l’evoluzione del mondo della tecnologia.

Se mi permette tempo è importante dire anche che gli Stati Uniti fanno 67 miliardi di euro di acquisto del Made in Italy e quest’anno si prospettano 65 miliardi, quindi un calo di 3 punti percentuali, poco di più. Bisogna capire che cosa succederà con i dazi, ancora non si sa: sicuramente va tenuto conto che i dazi vanno scongiurati al massimo.

Uno studio in proposito dell’OCSE ci fornisce due numeri importanti a livello di proiezioni.  Se ci fossero 10 punti percentuali, e 60 per la Cina, il numero si attesterebbe secondo l’OCSE intorno a 3 miliardi e mezzo di riduzione di quei 67 miliardi. Se ci fossero il 20%, sempre con i 60 in Cina, ci sarebbe una riduzione tra i 10 e gli 11 miliardi.

Consideriamo però che a questo va aggiunto 7.5 punti percentuali di aumento di capacità d’acquisto del dollaro, che quindi ci agevola perché nettifica leggermente l’importo e l’impatto dei dazi e soprattutto che la catena distributiva ha dimostrato in varie situazioni di assorbire anche certi aumenti di costi. Speriamo che risucceda e che se ci saranno questi dazi, che speriamo che la diplomazia riesca a scongiurare, vengano in qualche modo in parte almeno riassorbiti.

Purtoppo sembra proprio che Trump li cominci a fare questi dazi che annuncia, ma sappiamo (questo lo dico io come giornalista politico) che il nostro governo, la nostra Premier ha un rapporto privilegiato con Trump, che si spera sia anche di mediazione con il resto dell’Europa e quindi vediamo: è un percorso ancora lungo da venire però era giusto metterci la testa e fare riferimento a queta situazione.

È  stato ampiamente dimostrato che abbiamo un rapporto privilegiato quindi credo che vada dato merito a questo governo e alla Premier Meloni di aver saputo costruire nel tempo dei rapporti dei rapporti solidi. Naturalmente qualsiasi sia il risultato, perché insomma se non fosse così il risultato avrebbe potuto essere di gran lunga peggiore. Quindi sono sicuro che avremo il migliore dei risultati possibili vista la situazione.

Sono d’accordo con lei, io la ringrazio del suo tempo, la ringrazio per aver fatto questa intervista, speriamo di aver dato anche un po’ di notizie perché, insomma, alla fine chi ascolta può aver preso anche qualche strumento per raccontare cosa si fa in questo mondo complicato, che poi è il nostro mondo del futuro e dobbiamo starci sempre appunto con una grande consapevolezza.

Grazie a Matteo Zoppas imprenditore e presidente di ICE, di essere stato ai nostri ritratti di Buongiorno America arrivederci e buon lavoro.

Picture of Claudio Brachino

Claudio Brachino

Giornalista, saggista ed editorialista italiano. Laureato in Lettere, passione per il teatro, ha scritto con De Filippo e Michalkov. Poi 32 anni in Fininvest e Mediaset, dove è stato vicedirettore ed anchor di Studio aperto , 2 volte direttore di Videonews, la fabbrica dei format, direttore di Sport Mediaset e di Radio Montecarlo news. Inoltre, ha diretto per due anni il Settimanale, magazine cartaceo e web sulle Pmi, ha scritto per il Tempo e il Giornale, ora è editorialista del Multimediale di Italpress, opinionista tv per Rai e La7 e direttore editoriale di Good Morning Italy. Da poco ha firmato una collaborazione per lo sport del circuito Netweek.

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