Woody Allen ha ricordato Diane Keaton con una lunga lettera pubblicata su The Free Press due giorni dopo la morte dell’attrice, scomparsa all’età di 78 anni. In un testo intimo e malinconico, il regista newyorkese ha ripercorso la loro relazione personale e artistica, definendo Keaton «unica» nel senso letterale del termine. «It’s grammatically incorrect to say “most unique,” but all rules of grammar, and I guess anything else, are suspended when talking about Diane Keaton», ha scritto Allen. «È grammaticalmente scorretto dire “più unica”, ma tutte le regole della grammatica – e credo anche qualsiasi altra – vengono sospese quando si parla di Diane Keaton».
L’incontro tra i due risale ai primi anni Settanta, quando Keaton, appena arrivata a New York dalla California, fece un’audizione per Play It Again, Sam, la commedia teatrale di Allen poi adattata per il cinema. «La prima volta che posai gli occhi sulla sua bellezza slanciata pensai: se Huckleberry Finn fosse una giovane donna bellissima, sarebbe Diane Keaton». Allen racconta che entrambi erano troppo timidi per parlarsi durante le prime prove. La loro relazione iniziò quasi per caso, durante una pausa, in un diner su Eighth Avenue: «Era così affascinante, così bella, così magica, che misi in dubbio la mia sanità mentale. Pensai: posso essermi innamorato così in fretta?».

Il legame sentimentale si trasformò presto anche in una collaborazione artistica. Keaton fu la musa di Allen in film come Io e Annie, Manhattan e Love and Death, contribuendo in modo decisivo alla sua immagine pubblica e alla sua evoluzione cinematografica. «Col tempo iniziai a fare film per un solo spettatore: Diane Keaton». Nella lettera, il regista racconta come Keaton fosse l’unica opinione che contasse davvero: «Se le piaceva, consideravo il film un successo artistico». Per Allen, la sua valutazione valeva più di qualsiasi recensione o riconoscimento. «Non ho mai letto una sola recensione del mio lavoro: mi importava solo di ciò che Keaton aveva da dire».
Per Allen, Keaton non era solo una musa, ma una misura del mondo. La descrive come una donna piena di talenti: attrice, cantante, ballerina, fotografa, scrittrice, regista e perfino arredatrice. Dice che era capace di giudicare un suo film e una tragedia di Shakespeare con la stessa sicurezza, seguendo solo il proprio gusto e mai quello degli altri. Anche il suo stile, racconta Allen, rifletteva quella libertà. Vestiva in modo imprevedibile, spesso illogico, ma riusciva sempre a rendere tutto armonioso. Negli anni, dice, il suo gusto era diventato più elegante, ma aveva mantenuto la stessa originalità che l’aveva resa inconfondibile.

In un passaggio più personale, Allen parla del loro periodo insieme e della fragilità che Keaton nascondeva dietro la sua vitalità. Ricorda le serate al Madison Square Garden, i pasti abbondanti dopo le partite dei Knicks e l’incredulità di fronte al suo rapporto con il cibo. Allo stesso tempo, definisce Keaton «a hick, a rube, a hayseed», cioè una campagnola autentica, pur essendo una delle attrici più sofisticate del cinema americano. «Era incredibile che questa splendida ragazza di provincia fosse diventata un’attrice premiata e un’icona di stile».
Nella parte finale della lettera, Allen riflette sul tempo trascorso e sulla perdita. «Qualche giorno fa il mondo era un posto che includeva Diane Keaton. Ora è un mondo che non la include più». Poi aggiunge: «Perciò, è un mondo più triste. Ma ci sono i suoi film. E la sua grande risata continua a riecheggiare nella mia testa».
