Fabrizio Mancinelli è uno dei tre italiani in corsa per gli Oscar 2025, grazie alla sua candidatura per il cortometraggio live action Anuja. Compositore di fama internazionale, Mancinelli ha costruito una carriera solida tra Hollywood e l’Italia, firmando musiche per film, serie TV e progetti d’animazione. Il suo talento nel tradurre emozioni in musica lo ha portato a collaborare con alcune delle più importanti produzioni cinematografiche. In questa intervista, ci racconta il processo creativo dietro Anuja e l’emozione di essere per la prima volta da protagonista al Dolby Theater.
Fabrizio, stai facendo le prove per domenica sul Red Carpet?
Sì, il Red Carpet è ancora coperto da un cellophane bianco, ma l’emozione è già tanta. È la mia prima volta qui, e questo rende tutto speciale. Inoltre, è un’occasione doppiamente significativa per me: è il mio primo anno come membro votante dell’Academy e, contemporaneamente, la mia prima nomination. Un onore enorme, soprattutto da italiano. Ho la doppia cittadinanza, ma l’Italia resta la mia radice più profonda, e poterla rappresentare in questo contesto è qualcosa di magico.
Parliamo di Anuja, il cortometraggio per cui hai ricevuto la nomination.
Anuja è un cortometraggio live action che affronta il tema dello sfruttamento minorile in India. Un bambino su dieci nel mondo è vittima del lavoro minorile, una realtà drammatica che il film racconta con delicatezza e attraverso lo sguardo della sua giovane protagonista. Lei è intelligente, sveglia, piena di vita, e questo permette alla storia di trasmettere il messaggio con forza, ma senza appesantire.
Come hai lavorato alla colonna sonora?
Ho scelto strumenti che evocassero le atmosfere visive del film più che la musica tradizionale indiana. Il rischio, altrimenti, sarebbe stato quello di cadere in una sorta di parodia. Volevo una sonorità che fosse universale, pur rispettando il contesto. Ho quindi optato per un violoncello pizzicato vicino alla tastiera e una viola da gamba del XVII secolo, strumenti poco comuni per l’orecchio occidentale ma capaci di evocare un mondo sonoro autentico senza stereotipi. Credo che questa scelta abbia contribuito a rendere il messaggio del film ancora più universale: Anuja si svolge in India, ma potrebbe essere ambientato ovunque.
La musica italiana e il cinema americano hanno un legame indissolubile, da Ennio Morricone in giù. Chi sono i tuoi maestri?
Ho avuto la fortuna di studiare con Luis Bacalov, premio Oscar per Il Postino, un maestro straordinario che mi ha lasciato un’eredità artistica inestimabile. Inoltre, provenendo dal mondo della musica classica, ho avuto il privilegio di lavorare con Gian Carlo Menotti, due volte Premio Pulitzer e fondatore del Festival dei Due Mondi. Avevo 18 anni quando ho iniziato a seguirlo, lui ne aveva 90, ed è stato un’esperienza unica. Poi, ovviamente, ci sono le mie stelle polari: Ennio Morricone e Nino Rota, che hanno reso la musica per il cinema un’arte sublime.
A Hollywood sei ormai un veterano, sono già tanti i progetti a cui hai preso parte.
Sono stato fortunato a partecipare a progetti straordinari. Uno di questi è stato il cortometraggio animato Mushka, diretto dalla leggenda Disney Andreas Deja, per cui ho avuto l’onore di collaborare con Richard M. Sherman, il compositore di Mary Poppins, scomparso lo scorso maggio. Abbiamo lavorato insieme a una canzone per il film, un’esperienza che porterò sempre nel cuore. Un altro momento incredibile è stato dirigere le musiche di Green Book, premio Oscar come miglior film, con la colonna sonora di Kris Bowers.
Chiudiamo incrociando le dita per domenica, ma intanto ieri è arrivato un altro riconoscimento…
Sì, ho ricevuto il premio dall’Associazione Internazionale dei Critici di Musica per Film per la colonna sonora di un altro cortometraggio, un’opera orchestrale registrata a Vienna con 80 musicisti con 25 minuti di musica originale. È la prima volta che questo premio viene assegnato aanche a un cortometraggio live action, segno che il genere sta conquistando sempre più attenzione. Ora incrocio le dita per domenica, ma essere già qui, in questa cinquina, è di per sé una vittoria.