È scomparso ieri, all’età di 100 anni, Jimmy Carter, 39° presidente degli Stati Uniti. A darne notizia è stato il figlio, James E. Carter III, che ha confermato la morte avvenuta nella residenza di famiglia a Plains, Georgia. Carter, presidente dal 1977 al 1981, era noto anche per essere diventato il leader americano che ha vissuto più a lungo. Una vita straordinaria, trascorsa tra l’impegno politico e l’attività umanitaria, che ha segnato profondamente il XX secolo.
Nato il 1° ottobre 1924 a Plains, Carter proveniva da una famiglia di agricoltori. Dopo aver studiato fisica nucleare e tecnologia dei reattori presso l’Union College, intraprese una carriera nella marina, partecipando ai programmi sui sottomarini nucleari. Ma il destino lo riportò alla sua terra natia quando, nel 1953, la morte del padre lo spinse a gestire l’azienda agricola di famiglia, specializzandosi nella coltivazione di arachidi. Da lì, iniziò a divenire presto un punto di riferimento per la comunità locale.
La sua ascesa politica iniziò negli anni Sessanta, prima come senatore della Georgia e poi come governatore dal 1971 al 1975 (ci aveva provato anche per il mandato precedente, perdendo). Durante l’ultimo anno da governatore si candidò alla presidenza degli Stati Uniti. Carter condusse una campagna elettorale innovativa e itinerante, percorrendo migliaia di chilometri negli Stati Uniti e promuovendosi come outsider capace di risanare la politica americana dopo lo scandalo del Watergate. All’epoca, infatti, Carter era abbastanza sconosciuto a livello nazionale, al punto da dover pubblicare anche una breve autobiografia. Nel 1976, Carter sconfisse il repubblicano Gerald Ford, diventando Presidente.
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Acquista su AmazonIl suo mandato fu caratterizzato da sfide imponenti e da molti problemi derivanti dalle gestioni politiche precedenti. Sul fronte interno, Carter dovette affrontare la stagflazione causata dagli shock petroliferi degli anni Settanta, ma le misure per contenere i costi energetici e rilanciare l’economia non riuscirono, tuttavia, a ottenere i risultati sperati. Sul piano internazionale, il successo più significativo fu l’accordo di Camp David del 1978, che portò alla pace tra Israele ed Egitto. Ma la crisi degli ostaggi in Iran, iniziata nel 1979, segnò profondamente la sua presidenza, contribuendo alla sua sconfitta contro Ronald Reagan nel 1980.
Nonostante il giudizio critico sul suo mandato, Carter trasformò la sua “eredità di presidente perdente” in un esempio di resilienza e impegno. Fondò il Carter Center nel 1982, dedicandosi alla promozione della democrazia, dei diritti umani e della lotta alle malattie nei paesi in via di sviluppo. Tra i suoi risultati più significativi, la quasi totale eradicazione della dracunculiasi, una malattia parassitaria debilitante.
Nel 2002, gli sforzi umanitari gli valsero il Premio Nobel per la Pace, conferito per il suo impegno “nel trovare soluzioni pacifiche ai conflitti internazionali”. Il riconoscimento arrivò anche per il suo lavoro instancabile per promuovere la pace tra Israele ed Egitto e per rendere i diritti umani un pilastro della politica estera americana.
La figura di Carter è stata rivalutata nel tempo: lo storico Joseph Crespino lo ha descritto come “il presidente che ha vissuto abbastanza per ridefinire la propria eredità”. La sua capacità di trasformare le sconfitte in opportunità e di agire concretamente per il bene comune lo rendono un caso unico nella storia presidenziale americana.