Negli Stati Uniti, il diritto all’aborto è nuovamente al centro del dibattito politico in vista delle elezioni di novembre. In dieci stati americani si terranno referendum che potrebbero sancire l’introduzione dell’aborto nelle Costituzioni statali, a seguito della sentenza della Corte Suprema del 2022 che ha eliminato il diritto all’interruzione di gravidanza a livello federale. Questi referendum, se approvati, potrebbero rendere legale il diritto all’aborto in cinque diversi stati dove non lo è e rafforzarlo in altri cinque dove è già legale.
La questione ha acquisito rilevanza anche nella campagna elettorale, nonostante gli sforzi dell’ex presidente Donald Trump di evitare il tema per non alienare una parte dell’elettorato: il timore è che le posizioni di alcune frange dell’estrema destra potessero fargli perdere consensi. A tal proposito, ultimamente Trump, un po’ a sorpresa, ha dichiarato che avrebbe votato a favore del referendum sull’aborto in Florida, dove risiede. I responsabili della sua campagna elettorale hanno poi smentito.
Mentre il principale esponente del Partito Repubblicano vive, quindi, una crisi identitaria su uno dei temi più infuocati degli ultimi anni, i gruppi antiabortisti e alcune frange del Partito Repubblicano stanno cercando attivamente di bloccare o complicare questi referendum, utilizzando vari strumenti legali e politici per ostacolare l’approvazione delle misure.
Negli stati come l’Arkansas e il South Dakota, la battaglia legale è già iniziata. In Arkansas, la Corte Suprema statale ha annullato il referendum sul diritto all’aborto per irregolarità formali nella raccolta delle firme. Qui abortire è illegale anche in caso di stupro o incesto. In South Dakota, invece, dove il referendum è ancora previsto, sono in corso ulteriori contestazioni legali. Quella di utilizzare le corti giudiziarie per questo genere di battaglie è una manovra tipica dei gruppi contrari all’aborto per fermare l’avanzata delle proposte pro scelta, potendo spesso contare su giudici conservatori.
In stati come la Florida, Nebraska e Arizona, gli sforzi per bloccare i referendum si sono concentrati su strategie meno dirette ma altrettanto efficaci. In Florida, ad esempio, il quesito referendario sarà accompagnato da un testo critico sull’aborto, scritto da una commissione influenzata da figure conservatrici, che potrebbe scoraggiare gli elettori. Nel testo si sostiene che rendere accessibile l’aborto porterà ad un numero “significativamente” maggiore di interruzioni di gravidanza, che “potrebbe influire negativamente sulla crescita delle entrate statali e locali nel tempo”.
In Nebraska, i gruppi antiabortisti hanno presentato un referendum alternativo che potrebbe confondere l’elettorato e dividere i voti pro aborto, rendendo più difficile un esito favorevole per i sostenitori del diritto all’aborto.
In Arizona, lo scontro è particolarmente acceso, con i gruppi antiabortisti che hanno tentato di bloccare il referendum attraverso contestazioni legali e richieste di modificare il linguaggio utilizzato nel quesito referendario. Sebbene alcune di queste azioni siano state respinte, la Corte Suprema dello stato ha consentito l’uso di terminologie influenzate dall’ideologia antiabortista nel materiale informativo inviato agli elettori (ma non nel quesito referendario): non saranno più usate le parole “feto” o “embrione”, ma “essere umano non nato”, seguendo l’idea dei gruppi antiabortisti che la vita inizi al momento del concepimento e che l’aborto è equiparabile all’omicidio.