Tutti noi abbiamo desiderato tornare a casa dopo un lungo viaggio. E tutti noi conosciamo la storia di Ulisse. L’eroe greco sopravvissuto alla guerra di Troia (Ralph Fiennes) approda sulle coste dell’isola di Itaca dopo vent’anni di assenza, esausto e irriconoscibile. Molto è cambiato nel suo regno. Sua moglie Penelope (Juliette Binoche) è prigioniera nella sua stessa casa, perseguitata dai Proci, i pretendenti in lizza per diventare re. Il figlio Telemaco (Charlie Plummer) affronta la morte per mano di questi corteggiatori, ostacolo alla loro conquista del regno. Segnato dall’esperienza della guerra, Ulisse non è più un potente sovrano, e deve riconquistare ciò che ha lasciato prima di partire per Troia.
A 70 anni dal film di Mario Camerini con Kirk Douglas e Silvana Mangano nei ruoli di Ulisse e Penelope, il regista Uberto Pasolini (Still Life, Nowhere Special) rilegge l’Odissea in un film che pone l’accento sulle dinamiche interpersonali e sui sentimenti umani. Scritto da Pasolini, John Collee ed Edward Bond, e già presentato in anteprima assoluta al Toronto International Film Festival, The Return è in concorso alla Festa del Cinema di Roma nella sezione “Grand Public”.
I sentimenti raccontati da Pasolini in questa rilettura del poema omerico sono quelli di tutti noi. Amore, perdono, fedeltà, lontananza, attesa. E ancora stanchezza, speranza, solitudine, abbandono, riconciliazione. Per il regista il film è stato una sfida: “Ho provato a fare questo film per 30 anni, ci ho messo di più io che Ulisse a tornare a casa. La passione per l’Odissea è una passione infantile. Più si invecchia, più leggendo quest’opera ci si riconosce nell’emotività, nelle problematiche, nella psicologia delle persone, non li chiamo neanche personaggi. I miti hanno una vita millenaria in cui ci riconosciamo. Ho fatto questo film per arroganza, ci vuole arroganza per confrontarsi con Omero. Gli unici passi che vale la pena di fare sono quelli più lunghi della gamba, come mi disse Dante Ferretti (celebre scenografo premio Oscar, ndr) molti anni fa”, ha dichiarato in conferenza stampa. Anche gli attori hanno sottolineato il valore dell’analisi emotiva dei personaggi interpretati. “La ricerca su un personaggio avviene con l’immaginazione emotiva di un attore. Cosa significa tornare a casa? Cosa significa essere esausti fisicamente? Cosa si prova a essere respinti da tuo figlio? Ho voluto sondare il copione con Juliette e Uberto per cogliere la verità alla base di ciò che accade nel cuore di Ulisse”, ha spiegato Fiennes. “Non avevo mai interpretato una regina, è stato più facile di quanto pensassi. Penelope è una donna che vuole proteggere suo figlio e resistere alla voglia di potere che i Proci simbolizzano. Mi è bastato pensare a quello a cui devo far fronte come donna sola che deve educare i propri figli”, ha aggiunto la Binoche. In sala anche Santamaria, che ha commentato: “Come diceva Stanislavskij, non è importante capire e ricordare, che sono cose facili. Il difficile è sentire e credere. Per questo la ricerca di un attore è sempre interiore”.
The Return è un film che parla di umanità e non di eroi, è un film che parla a tutti noi. Cosa vuol dire essere umani, dove approdiamo in seguito alle nostre personali guerre, come ci salviamo. Il film racconta il viaggio interiore di un uomo che torna a se stesso, ma soprattutto è un film sul tempo. Il tempo che passa, il tempo perduto, il tempo che non ritorna, il tempo che può ancora essere. Nell’ultima scena Ulisse e Penelope si guardano negli occhi e si sussurrano “invecchieremo insieme”. C’è ancora tempo per essere felici, questo il messaggio di Pasolini.