“Buen Camino” e l’Italia di Zalone

Il nuovo film di Gennaro Nunziante e Checco Zalone osserva ancora una volta l’uomo medio senza assolverlo né condannarlo

Buen Camino, diretto da Gennaro Nunziante e scritto con Checco Zalone (Luca Medici), in uscita nelle sale il 25 dicembre, è un film significativo non perché innovi, ma perché insiste. Si riallaccia, con meno energia e meno ferocia, a quella stagione della commedia all’italiana che osservava l’uomo medio senza assolverlo e senza condannarlo, limitandosi a metterlo in difficoltà. Anche qui il personaggio è costruito su misura: Checco resta un uomo comune, adattivo, convinto che il benessere materiale basti a tenere insieme una vita.

Nunziante lo ha detto chiaramente: ogni loro film nasce sempre dalla stessa domanda, ovvero chi è Checco oggi. Non si parte da un tema, né da un messaggio, ma da un personaggio. In Buen Camino la risposta è netta: Checco è un uomo ricco, persuaso che comfort e accumulo siano sufficienti a definire un’identità. Da questa convinzione prende forma il racconto.

La scomparsa della figlia Cristal, interpretata da Letizia Arnò, non funziona come colpo di scena, ma come rottura di un equilibrio già precario. Nunziante ha spiegato che la scelta del Cammino di Santiago nasce proprio da questa esigenza di contrapposizione: collocare un uomo che, parole sue, “si è sostituito alla divinità” in uno spazio fatto di fatica, tempo lungo e cose che non si possono comprare. Non per convertirlo, ma per metterlo fuori posto.

Zalone ha insistito su un punto più elementare e più concreto. Buen Camino, nelle sue intenzioni, racconta un uomo che è padre senza averlo mai davvero praticato. Non perché la figlia non esista, ma perché quel ruolo è rimasto astratto, rimandato, delegato. Il film segue questo passaggio: si parte da una paternità nominale e si arriva, forse, a una consapevolezza tardiva, non trionfale. È nella semplicità, ha spiegato Zalone, che la commedia trova il suo spazio, perché è lì che lo spettatore smette di ridere soltanto e comincia a riconoscersi.

Non è un caso che alcune battute sfiorino temi scomodi. Zalone ha rivendicato apertamente l’idea che il problema non sia il politicamente corretto, ma l’intelligenza con cui si è scorretti. Le frasi più discutibili — da Gaza agli attentati alle Torri Gemelle — appartengono a un personaggio che all’inizio non sa, che è culturalmente povero e moralmente immaturo, e che proprio per questo può permettersi di dire sciocchezze. La differenza, ha ricordato Nunziante, sta tutta nel finale: nella commedia italiana il senso non è nella battuta, ma in dove arriva il personaggio.

Zalone non sa se i ventenni di oggi si riconosceranno in questo film, abituati a una comicità immediata e frammentata. Buen Camino registra questo divario generazionale e non prova a risolverlo. Guarda piuttosto a chi è rimasto nel mezzo, a un’età che riconosce ancora la lentezza come una condizione familiare.

In questo senso il personaggio mantiene una coerenza precisa. Zalone lavora consapevolmente su una recitazione monocorde che non costruisce una maschera, ma un volto riconoscibile, attraversato da una malinconia trattenuta e da una tendenza all’adattamento più che al coraggio.

Dal punto di vista formale, Buen Camino conferma le costanti del cinema di Nunziante. La regia resta sobria, talvolta neutra, sempre subordinata alla scrittura e all’attore. Il vero punto di forza è la sceneggiatura, cioè lo sguardo su un maschio che ha accumulato senza interrogarsi e che si trova improvvisamente davanti a una scelta che non comprende. Nunziante non lavora per denuncia né per messaggi: mette il personaggio di fronte alla propria insufficienza e, se possibile, lo accompagna verso un assestamento, senza costruire riscatti esemplari.

Immagine di Monica Straniero

Monica Straniero

Monica Straniero è una giornalista e collabora con testate italiane e internazionali. Si occupa di cultura pop, storie urbane e immaginari contemporanei

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