La politica climatica di New York era un modello, ma sta cambiando direzione

Tra obiettivi ambiziosi, aumento della domanda energetica e nuove scelte su gas e nucleare, lo Stato sta rivedendo l’impostazione con cui aveva affrontato la transizione climatica

Per anni New York è stata descritta come uno spazio di avanguardia nella risposta istituzionale alla crisi climatica. Con l’approvazione del Climate Leadership and Community Protection Act nel 2019, lo Stato si è assegnato un obiettivo che non riguardava soltanto la riduzione delle emissioni, ma una ridefinizione complessiva del rapporto tra produzione energetica, consumo e organizzazione sociale. Ridurre del 40 per cento le emissioni entro il 2030 ed eliminarle quasi del tutto entro il 2050 significava intervenire sui comportamenti, sulle infrastrutture e sui codici materiali che regolano la vita quotidiana: mobilità, riscaldamento, accesso all’energia.

A distanza di sei anni, quel disegno si confronta con un contesto mutato. L’aumento della domanda energetica, una fase economica instabile e lo stop imposto a diversi progetti sulle rinnovabili da parte dell’amministrazione federale hanno spinto la governatrice Kathy Hochul verso una strategia definita “all of the above”. Una strategia che non abbandona formalmente gli obiettivi climatici, ma li ricolloca all’interno di una logica di abbondanza energetica in cui rinnovabili, gas naturale e nucleare coesistono. Non si tratta di una rottura frontale con la legge sul clima, quanto di un suo adattamento pragmatico alle condizioni materiali del presente.

È sul gas naturale che questa tensione diventa più evidente. Il gas resta oggi la principale fonte di produzione elettrica nello Stato e rappresenta una soluzione immediata a problemi di approvvigionamento e costi. Allo stesso tempo, introduce una contraddizione strutturale: alle emissioni di anidride carbonica generate dalla combustione si sommano quelle di metano lungo l’intera filiera, dall’estrazione alla distribuzione. Il metano, per il suo impatto climatico nel breve periodo, rende più complesso il raggiungimento degli obiettivi fissati dalla legge. Anche le infrastrutture necessarie a sostenerne l’uso, come il nuovo gasdotto sottomarino approvato al largo di New York City, spostano parte dei costi direttamente sui consumatori, attraverso le bollette.

In questo quadro riemerge il tema del nucleare, storicamente divisivo. Dal punto di vista emissivo, l’energia nucleare è considerata “pulita”; dal punto di vista sociale e politico, continua a portare con sé questioni irrisolte legate ai tempi di realizzazione, ai costi e alla gestione delle scorie. La chiusura della centrale di Indian Point nel 2021, salutata da una parte del mondo ambientalista come una vittoria simbolica, ha prodotto nel breve periodo un aumento delle emissioni da petrolio e gas nell’area metropolitana di New York superiore al 10 per cento, e questo dimostra come la dismissione di una tecnologia non produca automaticamente una transizione, ma apra spesso spazi che vengono riempiti da soluzioni già disponibili.

La centrale di Indian Point

I dati ufficiali confermano un rallentamento. A oggi, la riduzione delle emissioni si attesta intorno al 10 per cento, lontana dall’obiettivo del 40 per cento previsto per il 2030. Il primo traguardo della legge appare quindi in ritardo strutturale. Una delle poche variabili in grado di incidere nel breve periodo è la nuova linea di trasmissione dal Canada, destinata a fornire energia idroelettrica pari a circa il 20 per cento del fabbisogno di New York City. Il suo avvio, previsto per il prossimo anno, rappresenta uno degli interventi più coerenti con l’impianto originario della legge.

Accanto alle infrastrutture, la legge sul clima prevede un meccanismo di “cap and invest” che introduce un tetto alle emissioni e un sistema di compensazione economica. Le stime parlano di fino a 5 miliardi di dollari di entrate, una parte delle quali destinata a trasferimenti diretti alle famiglie più esposte ai costi dell’energia, mentre il resto verrebbe reinvestito in efficienza energetica, elettrificazione dei trasporti e nuove reti. Nel breve periodo, però, l’aumento dei costi per le aziende fossili rischia di riflettersi sui prezzi finali, mostrando ancora una volta come la transizione non sia un processo neutro dal punto di vista sociale.

Infine, una proposta di legge sul tavolo della governatrice mira a eliminare l’obbligo per le utility di garantire allacciamenti gratuiti al gas ai nuovi clienti che vivono vicino alle reti esistenti. Oggi questi costi vengono redistribuiti sulle bollette degli utenti già serviti; in futuro ricadrebbero su chi sceglie il gas come fonte energetica. È un intervento limitato che, però, introduce una frizione economica che rende meno automatico l’accesso a una tecnologia fossile. Più che una svolta, è il segnale di una transizione che procede per aggiustamenti, compromessi e rinegoziazioni continue.

Immagine di Francesco Caroli

Francesco Caroli

Francesco Caroli, nato a Taranto, ha iniziato a scrivere di musica e cultura per blog e testate online nel 2017. È autore per le riviste cartacee musicali L'Olifante e SMMAG! e caporedattore per IlNewyorkese. Nel 2023 ha pubblicato il saggio "Il mutamento delle subculture, dai teddy boy alla scena trap" per la casa editrice milanese Meltemi.

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